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In Bretagna, dove la pietra canta e urla

Reportage dello scrittore Gian Domenico Mazzocato. Alla ricerca del commissario Dupin e dei “calvari”, manifestazione religiosa unica, con racconti di episodi biblici

La Bretagna si annuncia con i velieri alla fonda nell’estuario della Vilaine. E con i cartelli stradali in doppia lingua. Accanto al francese, il brittonico, l’antica parlata celtica, viva sulla bocca dei Bretoni. Une autre France, un’altra Francia. Cultura e storia proprie. Siamo qui, spinti da due motivi. Un personaggio letterario, il commissario Georges Dupin, e il desiderio di conoscere una manifestazione di religiosità unica, i cosiddetti calvari.

Dupin, allontanato da Parigi per un qualche suo guaio, è creatura di Jean-Luc Bannalec (pseudonimo di Jörg Bong). Arriva qui, al commissariato di Concarneau, la ville close. Bannalec affascina. L’arcipelago di Glénan, le saline di Guérande, l’Île-de-Sein, le coste di granito rosa di Trégastel, la misteriosa foresta di Brocéliande,visitata dai fantasmi della Tavola Rotonda. È anche serie Tv (RaiPlay), interpretata da Pasquale Aleardi, attore svizzero.
Poi i calvari. È più esatto parlare di “enclos paroissiaux” (recinti parrocchiali): un arco trionfale di ingresso, un cimitero, un ossario, una chiesa o cappella. E, soprattutto, appunto, il “calvario”: un crocifisso ai cui piedi una serie di sculture racconta episodi biblici. Per suggestionare i fedeli. Appaiono nel XV secolo: devozione ma anche ricchezza e precisa strategia culturale.
Saliamo in Bretagna costeggiando l’oceano. Che rovescia un acquazzone dietro l’altro. In pochi minuti acqua e sole. Un proverbio dice che qui piove due volte la settimana. La prima per tre giorni, la seconda per quattro.

Il commissario Dupin. Approdo a Pont-Aven, borgo di straordinaria bellezza sul fiume omonimo. Qui Dupin svolge la sua prima indagine attorno a un quadro (falso? autentico?), “Intrigo bretone”. Il quadro (forse) è di Paul Gauguin,che qui soggiornò a lungo. Poi Concarneau. La ville close, la città fortificata. Le mura e, fuori, la grande piazza. A uno dei vertici, il Cafè de l’Atlantic, base fissa di Dupin. Infine, sulle tracce del commissario, Point de Raze, il punto più occidentale d’Europa. Da lì si scorgono l’Île-de-Sein e gli isolotti che la circondano. Dupin (afflitto da cronico mal di mare) deve raggiungerla più volte durante un’indagine, la quinta della serie, “Marea bretone”. Perché una pescatrice, famosa per l’impegno ambientalista, è stata uccisa?

I calvari. Notre Dame de Tronoën. Percorso avventuroso nella piatta campagna del Finistère. Sembrano aleggiare Merlino, il mago figlio di Satana, e i bizzarri capricci del karrigan, un po’ il nostro mazzariol. Ma appare di colpo un miracolo di bellezza. Il calvario più antico, metà del XV secolo.

Da queste parti il cristianesimo faticò ad affermarsi. I culti druidici furono praticati fino al XVI secolo. Serviva un terreno di incontro. E così i santi bretoni sono un po’ preti e un po’ druidi. San Efflan salva re Artù da un drago. I santi Nèventer e Derrien liberano le contrade da mostri devastatori. San Hervè soggioga i lupi. San Cornély combatte gli invasori romani trasformando in pietre i legionari. Monti e valli recano il segno della lotta titanica tra Satana e Michele arcangelo. Santa Nolwenn, decapitata, va in giro col cranio tra le mani. Ronan, un monaco venuto dall’Irlanda nel VI secolo, è sospettato di essere un “loup-garou”, un lupo mannaro, e lotta contro le streghe. Roba da saghe del profondo Nord.

Clima culturale che genera i “recinti”. Il cristianesimo nutre un immaginario diverso. Gli “enclos” sono imponenti. Al centro, il calvario, una croce altissima, a braccia larghe. E alla base una biblia pauperum, un catechismo per immagini. Tronoën è esempio assoluto. La vita di Gesù culmina in una via crucis di incredibile potenza espressiva. Era ancor più suggestiva quando il granito grigio (la pietra locale, il kersanton) era dipinto a colori vivaci.

I druidi insegnavano un rapporto con la morte fatto di trasformazioni e ritorni. Difficile per i monaci cristiani parlare di trascendenza, di un aldilà con un premio o un castigo.
I calvari sono circa 200. Colpisce il ripetersi di certe icone. Il “pagano” Ponzio Pilato che si lava le mani. I “sapienti” re Magi che vengono da lontano a onorare il bambino. Ma resta arduo proporre il peccato e un uomo che muore per redimerlo. Servono sensazioni forti. Quale impatto maggiore di una madre che urla dolore nel gesto di abbracciare il proprio figlio deposto dalla croce del supplizio? La Pietà è declinata in mille modi. A Sizun, una Maria clamorosa. Qui l’enclos è trionfale, segnato da tre archi. Marca e nello stesso tempo annulla la distanza tra pagani e cristiani. Risale al 1585. Il concilio di Trento si è concluso da poco, nel 1563. I potenziali fedeli vanno accolti. Il calvario della vicina Lampaul-Guimiliau è struggente nella solitudine del Cristo tra i due ladroni. Due angeli raccolgono il prezioso sangue. Quello della quasi omonima Guimiliau è il più affollato, con i suoi 200 personaggi. Scene impressionanti per vivezza ed espressività. La natività, la fuga in Egitto, l’ultima cena, la via crucis, la resurrezione... E un tema inedito: l’inferno che avviluppa per l’eternità le anime perdute. Al centro, Ketell Gallet (Caterina la peccatrice) che profanava l’ostia sacra e mentiva nel confessionale. Alla chiesa vicina introduce un portale scolpito. Ammaliante l’Annunciazione. E, poi, lo sguardo incontra la Natività, l’uccisione di Abele, la visita di Maria a Elisabetta. La bibbia spiegata alla gente all’ingresso in chiesa.

Più essenziale (e più drammatico), il calvario di Saint-Thégonnec. Si passa il grande arco di ingresso e si è accolti dalla Deposizione e dalla Resurrezione. Sotto la croce, Maria tiene in grembo il figlio morto. E molto più in basso, Maddalena osserva Gesù morente: il ritratto del dolore. Del Calvario di Cammana (dal 1585) colpisce la disperata madre ai piedi della croce. Sofferenza pura. L’ultimo Calvario del nostro tour, a Pleyben, è il più scenografico. Sorge davanti alla chiesa dedicata al santo eponimo (e sconosciuto), Iben. Poi la chiesa fu ridedicata a un Saint-Germain da Auxerre.
Nel 1542 re Enrico II dotò il paese del privilegio di tenere grandi fiere. Della ricchezza che affluì sono testimonianza la chiesa e l’incredibile calvario. Costruito a partire dal 1550, fu in seguito innalzato (è la sua particolarità) sopra l’arco di trionfo. Impressionante: la Deposizione, l’adorazione dei Magi, l’ultima cena, l’entrata di Gesù in Gerusalemme, la fuga in Egitto... In nessun luogo come questo la pietra si fa narrazione. Canta e urla, dialoga con il visitatore. Fa immaginare un mondo trascendente in cui gli episodi narrati hanno un senso. Si realizza l’impossibile (?) incontro fra trascendenza cristiana e immanenza celtica.

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