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XXV domenica del Tempo ordinario: Un patrimonio per far crescere il Regno

Una parabola che fa fino in fondo il suo servizio, quello di provocare a interrogarci. Così si potrebbe descrivere l’episodio dell’amministratore disonesto che ci viene proposto in questa domenica.
Una disonestà lodata?
È, infatti, una narrazione che suscita perplessità e reazioni negative: Gesù vuol davvero lodare un comportamento disonesto come quello dell’amministratore protagonista del racconto?
Doppiamente disonesto, perché dapprima è accusato di aver “dilapidato” il patrimonio di proprietà del suo padrone, poi imbroglia per acquistare credito presso i debitori
e garantirsi un futuro.
La lode di un simile comportamento da parte del padrone - ovvero di Gesù - ci chiama a chiederci quale posizione prendere di fronte a tale provocazione: è una domanda propria anche alle prime comunità cristiane, che le conduce, alla fine, a interrogarsi riguardo alla ricchezza (Lc 16,10-13).
Una lucidità necessaria, una scelta decisa
Il giudizio del padrone / di Gesù nei confronti del comportamento dell’amministratore è in ordine alla sua capacità di riconoscere l’urgenza e il rischio posto dalla situazione in cui si trova, e quindi alla capacità di intravedere e attuare scelte efficaci, in grado di mettere in salvo il suo futuro. Anche se sono scelte rischiose, che possono aggravare il giudizio di disonestà da parte del padrone. La sua spregiudicatezza conta sul fatto che, tanto, il suo posto lo perderà comunque, e se mai cercherà un altro impiego simile gli sarà impossibile ottenerlo, avendo in ogni caso perduto anche la propria reputazione. Quindi tanto vale che metta in pratica uno stratagemma disonesto, pur di legare a sè qualcuno che abbia i mezzi per garantire il suo sostentamento.
Il versetto che segue, relativo ai comportamenti dei «figli di questo mondo», rafforza la conclusione della parabola e ne orienta l’interpretazione: “Imparate, voi figli della luce, ad agire con l’avvedutezza ed efficacia dei figli di questo mondo nei loro affari” (vedi anche Mt 10,16). Perché “l’affare” nel quale l’umanità intera è ormai implicata è decisivo per la propria sorte: il Regno di Dio in Gesù si è fatto davvero vicino, prossimo, e questo chiede di decidere con lucidità in ordine a Gesù e alla sua proposta, senza por tempo in mezzo.
Il rischio di essere posseduti da ciò che possediamo
È una pretesa enorme: Gesù la pagherà con la vita. Ma ciò che si sta “avvicinando” è la sorte della vita intera, nostra e di questo mondo, che desidera vivere in pienezza e non ci riesce, e non ci riusciamo. E rischiamo di affidarci al “mammona di ingiustizia”: questo è il termine letterale usato. “Mammona” indica “tutto quel che si possiede” nel senso di “ciò in cui si ripone fiducia per la propria vita”. Per Gesù, “ciò che si possiede” sono “cose di poco conto” (Lc 16,10), che non garantiscono, comunque, pienezza. E nel cercare di aumentare i propri beni, si rischia seriamente di esserne posseduti: si diventa schiavi di una voracità senza ritegno che vuol appropriarsi dei beni altrui, illudendosi che così facendo si possa aumentare la misura della propria vita (neppure di un’ora, vedi Lc 12,25). Anche a costo di comportarsi in modo iniquo.
L’antidoto della condivisione
C’è, tuttavia, una via d’uscita: “Fatevi degli amici con la ricchezza disonesta, perché, quando questa verrà a mancare, essi vi accolgano nelle dimore eterne” (Lc 16,9; cf 13,23-30). Ritorna la logica dell’amministratore disonesto, ma a servizio di un altro tipo di “salvezza”. Quel “patrimonio” che rischia di renderci schiavi può essere messo, invece, a servizio di altro: di una condivisione che ne converte il fine. Da fondamento in cui confidare in maniera esclusiva ed escludente a risorse da mettere a disposizione per dispiegare la logica del Regno di Dio, ovvero la condivisione che fa crescere il bene comune di tutti. E qui, entra in gioco anche il patrimonio di capacità di immaginazione, di inventiva, di genialità quotidiana non solo personale, ma anche comunitaria. Infatti, il far fruttare in questa direzione quanto possediamo, non solo individualmente, ma anche come comunità, richiede di mettere insieme competenze e capacità diverse, dalle più quotidiane alle più specifiche, in campo relazionale, economico, sociale. La carità che mette in atto la condivisione diventa sia quotidiana sia politica, capace di influire su scelte collettive che vanno oltre la comunità ecclesiale. È questa una delle sue, delle nostre responsabilità: contribuire a liberare il mondo / l’umanità dalla schiavitù del possedere a ogni costo, verso un servizio reciproco che faccia crescere il bene comune. Ci sorregge in questa direzione la “speranza che non delude”, e che ci rende capaci di agire insieme a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, per la salvezza del mondo intero.