Nemmeno l’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, può affermare che l’Iran già disponga di testate...
“Non c’è più religione”


“Non c’è più religione” è un’espressione nota, soprattutto tra le persone di età matura. Esprime, a seconda del tono di chi la pronuncia, stupore, indignazione, disappunto di fronte a cambiamenti inattesi, che infrangono norme o aspettative tradizionali. Per la sua immediatezza ed efficacia è stato scelto come titolo dell’ultimo fascicolo di Venetica, rivista degli Istituti per la storia della Resistenza e della società contemporanea del Veneto, uscito lo scorso maggio a cura di Alfiero Boschiero e Liviana Gazzetta. Si tratta di un numero monografico che punta a descrivere, secondo un approccio storico-sociale, l’avvio della crisi che sta attraversando la realtà cattolica veneta e i cui segni cominciano a manifestarsi nella seconda metà degli anni Sessanta, quando le attese di rinnovamento innescate dal Concilio Vaticano II si saldano con le contestazioni del ‘68.
Il tema del “lungo ’68 cattolico” è oggetto di studi storici da qualche anno: interessano, soprattutto, la crisi dell’associazionismo e l’affacciarsi dei movimenti, la messa in discussione dei rapporti con la Democrazia cristiana, le iniziative pacifiste e terzomondiste, il variegato mondo del solidarismo e del Terzo settore. Rispetto, però, ad altre indagini, il numero si concentra sullo specifico veneto, ponendosi la domanda di come sia stato possibile che, in una regione definita la “sagrestia d’Italia” per il peso che la Chiesa aveva sul piano sociale, organizzativo e morale, il cattolicesimo sia divenuto “religione di minoranza” nel giro di pochi decenni.
Il periodo considerato si snoda dall’immediato post-Concilio fino alla metà degli anni Ottanta, quando vengono rivisti gli accordi concordatari (1984). Per il Veneto è un periodo di radicale trasformazione, caratterizzato dal passaggio da un’economia rurale a una industriale e terziaria, dalla crescente urbanizzazione, dal pendolarismo di studenti e operai e dalla capillare diffusione di radio e televisione, che veicolano mode, stili di vita, consumi che rompono con la tradizione. Il senso di sé delle persone e il volto delle comunità locali, parrocchie comprese, non saranno più gli stessi.
Introdotti da un contributo del sociologo delle religioni Enzo Pace, che offre un quadro d’insieme della questione, i saggi che compongono il numero tratteggiano, da punti di vista diversi, l’avvio del declino di un modello organizzativo ecclesiale ed ecclesiastico, che negli ultimi venti anni ha assunto contorni drammatici. Descrivono le principali forme di presenza femminile nel tessuto cattolico (Liviana Gazzetta, “Le cattoliche negli anni della contestazione. Prime ricerche in Veneto”) e l’esperienza sofferta e problematica dei preti operai, presenti soprattutto nelle Diocesi di Venezia, Treviso e Vittorio Veneto (Alfiero Boschiero, “Uomini in rivolta. Sulla vicenda dei preti operai, in Italia e a Nordest”). Affrontano la crisi delle grandi associazioni di massa attraverso la vicenda delle Acli, con le divisioni indotte in regione dall’avvicinamento a posizioni socialiste (Maurizio Drezzadore – Arduino Salatin, “Le Acli che volevano cambiare il Veneto”). Illustrano poi due realtà diocesane specifiche: Verona, dove la difficile attuazione del Concilio Vaticano II si salda con il tenace impegno per la pace (Sergio Paronetto, “Verona oltre le mura. Esperienze cattoliche conciliari e iniziative di pace”), e Padova, in cui le scelte operate dal vescovo Girolamo Bortignon non mettono al riparo dalla crisi il tessuto associativo e non sanano le distanze crescenti fra la comunità ecclesiale e la componente studentesca universitaria, sempre più numerosa ed inquieta (Enrico Baruzzo, “I cattolici a Padova dal post-Concilio agli anni Ottanta”).
I contributi non hanno pretese di esaustività: nell’introduzione gli stessi curatori li definiscono “tessere di un puzzle ancora incompleto”. Hanno, piuttosto, l’intento di tenere vivo un dibattito che aiuti a comprendere le radici profonde della crisi del cattolicesimo veneto, riconducibili solo in parte al fenomeno della secolarizzazione e alle trasformazioni demografiche evidenziate dall’afflusso di migranti che portano, oltre ai propri personali progetti di vita, altre religioni.
La prospettiva è quella di un’analisi storica che vuole offrire spunti di riflessione per una reale comprensione del presente.
È interessante e importante rilevare che il “sasso” per smuovere le acque viene da una rivista laica, diretta da Mario Isnenghi, e da due curatori appartenenti a realtà culturali diverse e distanti (aggiungerei, storicamente antagoniste) da quella cattolica (Boschiero proviene da una lunga esperienza sindacale nella Cgil, mentre Gazzetta esprime una decisa appartenenza femminista). Indica che il progressivo vuoto lasciato dalla religione cattolica e da una Chiesa non più riconosciuta dalla società come portatrice di senso interpella e suscita interrogativi anche al di fuori del perimetro della comunità ecclesiale.
L’auspicio è che questo invito venga raccolto non per aprire comprensibili ma inutili nostalgie (il numero parla di eventi distanti una cinquantina d’anni, un respiro cortissimo della storia, di cui molti sono stati partecipi), quanto, piuttosto, aprire ad una coraggiosa ed efficace riflessione sul rapporto fede-storia nella società in cui viviamo.
“Non c’è più religione. Cattoliche e cattolici nel lungo ‘68 in Veneto”, a cura di Alfiero Boschiero e Liviana Gazzetta (edizioni Cierre). Enrico Baruzzo è fra gli autori dei contributi insieme a Enzo Pace, Maurizio Drezzadore e Arduinio Salatin, Sergio Paronetto; bibliografia a cura di Emilia Peatini. La seconda parte del volume contiene interventi di Angela Maria Alberton, Giulio Montenero, Francesco Montanari. Nella parte finali altri contributi storici.