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Ottant’anni fa, il 6 agosto, la prima bomba su Hiroshima

“Dal punto di vista giapponese, lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki fu un atto di terrorismo disumano. In tanti, continuano a narrare al mondo la tragedia avvenuta nella speranza che si rinunci a usare la bomba atomica, ma mi pare che solo i Paesi che non la posseggono si schierino per l’abolizione”.
Padre Flavio Besco, missionario saveriano originario di Recoaro, 66 anni, da oltre 40 anni vive a Osaka, in Giappone. Il 6 agosto di ogni anno, alle 8.15, da 80 anni, il Paese del sol levante ricorda il primo bombardamento atomico della storia, avvenuto quando il bombardiere statunitense Enola Gay sganciò l’ordigno ribattezzato “Little boy” sulla città di Hiroshima. Il 9 agosto, alle 11.02, l’olocausto nucleare toccò alla città di Nagasaki, con la bomba ribattezzata “Fat man”. Le vittime causate dal solo scoppio della bomba a Hiroshima e Nagasaki furono oltre 200 mila.
Padre Flavio, oggi, dopo 80 anni, come è sentito quell’evento tragico dai giapponesi e che significato ha?
Anche se sono passati 80 anni e i testimoni diretti sono, evidentemente, in calo numerico, sia il giorno dell’esplosione atomica su Hiroshima, sia quello di Nagasaki, vengono ricordati con celebrazioni solenni alle quali sono invitati anche i rappresentanti di circa 200 Nazioni. È l’occasione per parlare di pace, pregare per la pace e ricordarsi che il Giappone ha nella sua Costituzione il ripudio della guerra come soluzione dei problemi internazionali. I giapponesi non accettano la spiegazione “americana”, che indica il ricorso all’atomica come il male minore, per finire una guerra che sembrava non finire più, visto che i giapponesi si facevano massacrare, anche quando era chiaro che non avevano nessuna speranza di vincere. Dal punto di vista giapponese, lo sgancio delle bombe atomiche su 2 città, fu un atto di terrorismo disumano. Gruppi di cittadini di entrambe le città, ma anche di altri luoghi, continuano a narrare al mondo la tragedia avvenuta, nella speranza che il mondo rinunci a usare la bomba atomica, ma mi pare che solo i Paesi che non posseggono la bomba atomica si schierano per l’abolizione. I Governi del Giappone stesso non sottoscrivono documenti che chiedono di mettere al bando l’atomica, un po’ perché fanno notare che fino a quando i Paesi in possesso dell’atomica non si dichiarano contrari all’uso, si tratta solo buone intenzioni senza nessun risultato, un po’ perché il Giappone e, pur non possedendo l’atomica, si trova a godere della protezione dell’ombrello atomico americano, e non vorrebbe correre il rischio di perderlo. Anche la Chiesa cattolica ricorda il terribile evento, istituendo ogni anno, ad agosto, la “Settimana della pace”, per riflettere su temi inerenti alla pace e alla giustizia sociale. Tra l’altro, nel giorno dell’atomica su Nagasaki, le televisioni giapponesi immancabilmente mandano in onda qualche video della preghiera per la pace che si svolge nelle chiese della città.
Anche in Giappone si parla di riarmo: come è sentito questo tema nell’opinione pubblica?
Non mi sembra che ci sia molta gente accalorata su questo tema, vista anche la Costituzione di cui dicevo sopra. Però, i venti di guerra si fanno sempre più forti e la minaccia, vera o presunta, della Cina spinge il sentimento popolare verso il riarmo. A questo si aggiunge il fatto che gli Usa spingono il Giappone a spendere di più per le armi, anche per evidenti ragioni economiche, dato che gliele vendono loro.
Lei vive in Giappone da oltre 40 anni, che impatto ha avuto su di lei il mondo nipponico al suo arrivo?
Il tempo ha assorbito i ricordi e quel mondo che evidentemente mi sarà sembrato parecchio diverso, adesso è diventato un po’ il mio mondo. La cosa più nitida che ricordo è che pur essendo agli inizi di settembre faceva un caldo umido che toglieva il fiato, soprattutto a me, che partendo da Recoaro avevo già addosso i vestiti autunnali. E, poi, ricordo che mi hanno portato all’ufficio comunale per fare i documenti necessari e siamo arrivati alle 11.55. Ho pensato che ci avrebbero detto di tornare il giorno dopo e, invece, alle 12.10 avevo i documenti in mano. Efficienza e senso del dovere che mi stupiscono ancora oggi.