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Conflitto Israele-Iran: la spirale buia del Medio Oriente

La notte del 12 giugno si è aperto un nuovo, preoccupante fronte di guerra

Era solo questione di tempo, si diceva... Giovedì notte 12 giugno, Israele ha lanciato un massiccio attacco aereo contro oltre un centinaio di impianti militari e nucleari iraniani. Gli attacchi hanno interessato diverse città, tra cui Teheran, Tabriz e Qom, e sono proseguiti nei giorni successivi. A questi ha risposto l’Iran, con attacchi su Tel Aviv, Haifa e Bat Yam.

Israele e Iran stanno entrando nella seconda settimana di scontri, nonostante gli appelli internazionali a fermare i combattimenti, mentre le vittime e i feriti civili, da entrambe le parti, aumentano, così come le zone colpite. Non è chiara l’entità dei danni causati dai reciproci attacchi e, in molti casi, quali siti siano stati centrati esattamente. È difficile reperire dati precisi, a causa della guerra di informazioni che stanno accompagnando il conflitto militare, di cui subiamo anche le conseguenze, per le notizie che ci vengono proposte dai notiziari dei tg di casa nostra.

Così, pure non sappiamo quanti missili e munizioni entrambe le parti abbiano ancora nelle loro scorte, e per quanto tempo Israele e Iran riusciranno a sostenere questo scontro. Certo è che, dai mezzi militari finora messi in campo si tratta di uno scontro tra Davide e Golia.

Le ragioni di un nuovo fronte di guerra

Sono state fornite numerose giustificazioni all’opinione pubblica israeliana e, di rimbalzo, a noi, attraverso i notiziari, ma nessuna di esse pare spiegare realmente le vere ragioni per cui il Governo israeliano ha deciso di allargare i fronti di guerra, dopo quelli con Gaza, Libano e Siria.

Tel Aviv sostiene che l’attacco fosse “preventivo”, volto, cioè, a fronteggiare un’immediata e inevitabile minaccia da parte dell’Iran di costruire una bomba nucleare. Tutto questo mentre erano in corso da mesi dei colloqui diretti tra Washington e Teheran, e a ridosso della nuova sessione, che si sarebbe dovuta tenere domenica 15 giugno, in Oman.

Non sono state finora fornite prove a sostegno di questa affermazione, ma è pur vero che l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), in uno dei suoi rapporti periodici sui vari Paesi, pubblicato il 12 giugno, ha condannato l’Iran, per violazioni sostanziali degli impegni assunti nel Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (Tnp).

Quel che pare certo, è che l’attacco israeliano sia stato, indubbiamente, pianificato meticolosamente, per un lungo periodo di tempo, con infiltrazioni di truppe israeliane in Iran e che vi sono ampi dubbi sulla mancata conoscenza da parte della Casa Bianca. Forse, uno sperato “casus belli” da parte di Teheran, che invece non c’è stato, avrebbe reso “più agevole” il lavoro informativo delle principali cancellerie.

Il ruolo degli Stati Uniti

Fin dall’inizio dell’offensiva a Gaza, seguita al 7 ottobre 2023, gli Stati Uniti hanno fornito un sostegno incrollabile all’esercito israeliano, inclusa la fornitura di bombe e proiettili di artiglieria sparati in territorio palestinese, oltre al supporto tattico regionale e alla copertura dei cieli. Forti i dubbi sul pronto smarcamento di Washington dall’appoggio del nuovo fronte di guerra israeliano. Le autorità hanno affermato di non esserne al corrente, seppure da mercoledì 11 avessero ordinato l’evacuazione del personale diplomatico non essenziale da diverse ambasciate, in Medio Oriente.

Di fronte a questa retorica - fatta anche per non urtare gli alleati arabi - ci si chiede se gli Stati Uniti siano disposti a lasciarsi trascinare in un altro conflitto di lunga durata in Medio Oriente, dove stavano completando il ritiro delle ultime truppe dall’Iraq, dopo più di diciotto anni.

Scenari interni

Per il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, l’ennesimo colpo di reni per restare politicamente a galla, muovendo più la pancia che la razionalità degli israeliani, e la ferma volontà di porre fine, a tutti i costi, al programma nucleare che Teheran sta sviluppando, a dispetto delle Istituzioni internazionali. La nuova guerra potrebbe rappresentare per il premier israeliano un’occasione per sviare l’attenzione dalle sue crisi interne, e dai tre processi per corruzione che lo coinvolgono.

Per l’Iran la morte di diversi alti funzionari - tra cui Hossein Salami, comandante delle Guardie rivoluzionarie, e Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore - e il caos che i continui attacchi ai civili sta provocando nella popolazione, potrebbe portare il regime a una destabilizzazione, con la difficoltà di mantenere la coesione interna del Paese, già afflitto dalle sanzioni occidentali e da una profonda crisi economica. Si consideri che, seppure all’interno sia diffuso il dissenso alla Repubblica islamica, gli iraniani, di ogni orientamento politico, sono “patriottici”, impegnati a sostenere la sovranità e l’indipendenza del Paese.

Possibili coinvolgimenti

Il protrarsi dell’appoggio americano alla copertura dei cieli israeliani potrebbe portare a un nuovo gelo delle relazioni tra Teheran e gli Stati Uniti e dell’Occidente, con il rifiuto di negoziare sotto attacco israeliano, destabilizzando la regione e rafforzando l’alleanza con Russia e Cina, due potenze nucleari, e con forti interessi nei confronti dell’Iran.

Per gli Stati Uniti, nonostante la loro potenza militare, il protrarsi del conflitto li porta a un bivio: adottare una strategia di deterrenza, rimettendo al centro il ruolo della diplomazia, o rischiare di cadere in un conflitto aperto dai costi elevatissimi. Da ciò, l’Europa non sarebbe immune, vista la sua debolezza diplomatica nelle vicende mediorientali e la sudditanza di governance militare dagli Stati Uniti. Un confronto aperto amplierebbe il conflitto a più fronti, e romperebbe i già fragili equilibri regionali, con conseguenze anche in altri contesti di crisi internazionali.

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