venerdì, 26 luglio 2024
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La terra è “loro”

Negli ultimi vent’anni nel mondo sono stati accaparrati 114,8 milioni di ettari, solo nel 2022 questo dato è aumentato di 26,1 milioni. Andrea Stocchero presenta il recente rapporto elaborato dal Focsiv

Gli effetti dei cambiamenti climatici e delle crisi conseguenti ai conflitti sulle produzioni agricole, unite alle difficoltà legate alla ripresa economica post-Covid, ha accelerato la competizione geopolitica sull’accesso e l’estrazione delle risorse, aggravando ed espandendo l’uso della terra, a scapito dei Paesi impoveriti. Per approfondire il tema abbiamo posto qualche domanda ad Andrea Stocchero del Focsiv, tra i redattori del 6° Rapporto sull’accapparamento della terra

Chi sono i padroni della terra oggi?

Negli ultimi vent’anni nel mondo sono stati accaparrati 114,8 milioni di ettari di terra, solo nel 2022 questo dato è aumentato di 26,1 milioni di ettari. Il fenomeno è ad appannaggio soprattutto dei Paesi occidentali, ma si sta espandendo l’accaparramento di risorse naturali da parte dei nuovi poteri economici e politici. In particolare, stando alla banca dati di Land Matrix, il sito che raccoglie informazioni sui contratti di cessione e affitto di grandi estensioni di terra, la Cina è attualmente il Paese con più interessi distribuiti nel mondo, avendo accordi con ben 53 Paesi per la concessione di terre, seguita dagli Stati Uniti, con investimenti in 47 Paesi, dalla Gran Bretagna, Nazione ex coloniale e imperiale, con accordi con 42 Paesi, e il Canada, che opera attraverso alcune grandi imprese multinazionali del settore estrattivo in 41 Paesi. A distanza vi sono altri Paesi occidentali sede di multinazionali, come l’Olanda e la Svizzera.

Quali sono i principali attori?

Se si analizzano più in dettaglio i dati, si notano alcune concentrazioni di interessi tra Paesi investitori e Paesi oggetto di operazioni di acquisizione e concessione di terre. Il Giappone, la Svizzera e la Gran Bretagna che hanno fatto grandi investimenti nella Federazione Russa: rispettivamente per 7,5-5,8- 2,2 milioni di ettari. Il Belgio e la Cina, invece, svolgono grandi operazioni nella Repubblica Democratica del Congo - per 4,7 e 3 milioni di ettari, rispettivamente -, mentre il Perù attrae investimenti soprattutto dal Canada, 4,4 milioni di ettari, e dalla Spagna, 4,1 milioni di ettari.

Gli stessi attori che a Dubai alla Cop28 hanno faticato a decidere strategie e obiettivi per ridurre il riscaldamento globale?

Sì e no: sì per i Paesi che estraggono idrocarburi, dai Paesi Opec a quelli che hanno grandi multinazionali che operano nel settore e che non vogliono perdere gli investimenti fatti per lo sfruttamento dei giacimenti, la trasformazione e la distribuzione. No per i Paesi e le multinazionali che sono più impegnate nella transizione ecologica, e che però sono interessate all’estrazione delle materie prime critiche, come il litio e il cobalto.

Il vostro rapporto si focalizza su tre “vulnus” dell’accaparramento della terra: diritti umani, ambiente e migrazioni. Potrebbe brevemente spiegare gli effetti sulle migrazioni e la vulnerabilità dei diritti umani?

Gli effetti sono diretti e indiretti. Le grandi operazioni estrattive, come le miniere e le piantagioni monocolturali, occupano centinaia o migliaia di ettari di terreno, con effetti diretti sulle comunità locali, che sono costrette, nel migliore dei casi, a convivere con questi investimenti, diventando salariati a giornata, e nel peggiore dei casi sono espulse, devono abbandonare le loro case e trasferirsi in altri posti, migrare. Allo stesso tempo, vi sono effetti indiretti; l’accaparramento, infatti, danneggia l’ambiente, inquina la terra e l’acqua, riduce drasticamente la biodiversità, e di conseguenza le condizioni di vita delle popolazioni locali peggiorano, e nel tempo sono costrette a migrare.

Per tutto questo è necessario fare qualcosa?

A livello italiano sarebbe importante sostenere il negoziato per la direttiva europea su imprese e diritti umani, che obbliga le aziende a essere diligenti nel rispetto delle comunità locali; così come investire di più nella cooperazione allo sviluppo per sostenere le lotte per la difesa della terra e l’agricoltura agroecologia dei contadini africani, latinoamericani e asiatici. Per questo, la Campagna 070, sostenuta dalle reti delle organizzazioni di società civile italiane (Aoi, Cini e Link2007) con il Forum del terzo settore, Asvis, Caritas italiana e Missio, chiede di programmare il raggiungimento dell’obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo per l’aiuto pubblico allo sviluppo della cooperazione internazionale.

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