La situazione dei palestinesi nella striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania), è sempre più drammatica...
Orrore a Gaza

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha denunciato “l’infinito catalogo di orrori” che si sta verificando a Gaza, dopo quasi due anni di conflitto, mentre sale a quasi 65 mila il numero dei palestinesi uccisi dal 7 ottobre 2023. È di solo di una dozzina di giorni fa la dichiarazione congiunta di alcune agenzie Onu (Fao, Unicef, Wfp) sulla base della classificazione Ipc - sistema globale standardizzato utilizzato per classificare la gravità dell’insicurezza alimentare e della malnutrizione in un determinato territorio , che nel Governatorato di Gaza si è raggiunto il livello più elevato di insicurezza alimentare (classificato come Ipc Fase 5). Nelle prossime settimane si prevede che tale livello venga esteso anche ai Governatorati di Deir Al Balah e Khan Younis. Tale situazione è stata attribuita all’“ostruzione sistematica” delle consegne di aiuti umanitari da parte di Israele.
Catastrofe annunciata
La morte ha trovato casa, soprattutto a Gaza City, dove “le persone raccontano che la terra è sempre più trasformata in polvere dai bombardamenti israeliani su vasta scala. Gli attacchi stanno spianando i quartieri, nel tentativo di svuotarli dai loro residenti” raccontava in diretta su Al Jazeera il giornalista Tareq Abu Azzoum giovedì scorso pomeriggio 28 agosto l’avvio delle operazioni militari “Carri di Gedeone II”, con la massiva campagna aerea israeliana sulla città a nord della Striscia, dove un milione di palestinesi è intrappolato tra le macerie.
Ne è seguito l’annuncio dell’Esercito israeliano che, a partire dalle 10 del 29 agosto, la città nel nord di Gaza è diventata una “zona di combattimento”, nella quale sono sospese le pause quotidiane che consentivano la consegna degli aiuti umanitari.
Mentre l’Esercito israeliano si prepara a prendere nei prossimi mesi - c’è chi ipotizza anche un anno - il controllo di Gaza City, Israele si trova ad affrontare crescenti pressioni interne e internazionali per fermare l’offensiva nel territorio palestinese, dove l’Onu ha ufficialmente dichiarato lo stato di carestia. Circa due milioni di palestinesi, la stragrande maggioranza della popolazione, sono stati sfollati almeno una volta durante il conflitto, e le organizzazioni umanitarie hanno messo in guardia contro qualsiasi espansione delle operazioni militari.
Da fonti sul campo, la gente stremata per ora rinuncia alla fuga verso le regioni meridionali della Striscia di Gaza e si ammassa sulla spiaggia e nei quartieri occidentali di Gaza City. I residenti raccontano il susseguirsi di bombardamenti incessanti, attacchi da parte di elicotteri e l’avanzamento da terra dell’esercito con l’uso di bulldozer.
Tra sostegni, silenzi e proteste
Nel frattempo, a livello internazionale, continua l’immobilismo diplomatico e la divisione sul da farsi (sanzioni, blocco vendita armi) dell’Europa, l’ostruzionismo americano verso i palestinesi con il blocco dei visti per partecipare all’Assemblea generale dell’Onu, la fine della missione Unifil in Libano: tutto questo rafforza il Governo Netanyahu a fare la guerra.
Crescono le manifestazioni di piazza contro la guerra, sia in Israele che in altre città del mondo. L’idea che Israele sia a un passo dall’essere attaccato non è affatto vera e, come molti sostengono, non lo è da decenni: questo sta rafforzando anche il disimpegno di alcuni fondi sovrani e aziende nel Paese, in nome della trasparenza rispetto alla narrativa di Nazione aggredita.
Diplomaticamente, Israele approfitta del diritto di veto degli Usa al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, perché siano bloccate le richieste di cessate il fuoco a Gaza, nonostante il crescente numero di vittime.
Washington ha, inoltre, sostenuto Israele alla Corte internazionale di giustizia, dove pende un’accusa di genocidio, e ha sanzionato i membri della Corte penale internazionale che hanno emesso mandati di arresto per il premier, Benjamin Netanyahu e l’ex ministro della Difesa, Yoav Gallant, accusati di crimini di guerra. Sanzioni anche per la relatrice Onu, Francesca Albanese.
Una voce da dentro
Per raccontarci quanto sta accadendo abbiamo raccolto, martedì 2 settembre, la testimonianza di Islam JK Elhabil, giovane ricercatrice chimica, palestinese di 34 anni, sulla situazione a Gaza city dopo l’avvio dell’operazione “Carri di Gedeone II”.
“Da quando Israele ha lanciato, giovedì scorso, l’operazione - ci dice Islam -, la crisi umanitaria si è aggravata ulteriormente. Le forze israeliane si sono introdotte in quartieri densamente popolati, come Sabra, Sheikh Radwan e Jabalia al-Nazla, utilizzando veicoli blindati carichi di esplosivo, per demolire le case e costringere allo sfollamento di massa. Gli ordini di evacuazione dell’Esercito, da nord a sud, sono stati presentati come misure di sicurezza, ma, in realtà, non esiste una zona sicura, tutta Gaza è minacciata. Il nord ha subito distruzioni particolarmente devastanti, che sembrano strategiche per svuotare la popolazione attraverso il terrore piuttosto che proteggerla. Molti residenti, già indeboliti da due anni di carestia, sfollamenti cronici, esaurimento fisico e collasso economico, semplicemente non possono evacuare a causa di malattie, ferite o completa indigenza”.
Il resto è cronaca: palazzi sventrati, strade irriconoscibili, fame crescente, frastuono di bombe.