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STORIE DI NATALE 3: Intervista a un cristiano palestinese di Betlemme

Tra attacchi, nuovi insediamenti, restrizioni, crisi del turismo e mancanza di lavoro, la vita dei palestinesi in Cisgiordania è molto difficile, e particolarmente per la piccola comunità cristiana. Nizar Lama, 37 anni, è stato ospite delle parrocchie di S. Maria Ausiliatrice e Santa Maria sul Sile: “Vogliamo vivere in pace. Non possiamo permettere che la speranza muoia proprio lì dove è nata!”
18/12/2025

Con il 7 ottobre 2023 si è creata una frattura in Cisgiordania nella convivenza, pur non senza fatiche, di vivere fianco a fianco tra ebrei e palestinesi. Non con attacchi aerei o artiglieria come a Gaza, ma con bulldozer, restrizioni all’accesso ai terreni, nuovi insediamenti e milizie di coloni. Mentre le bombe polverizzavano la Striscia, la Cisgiordania occupata si incendiava in un fuoco diverso: quello delle espulsioni sistematiche, delle espropriazioni violente e dell’annessione legalizzata. Un assedio soffocante che ha fatto poca notizia nei media, ma che ha messo in ginocchio anche i cristiani palestinesi.

Un passo indietro. Israele occupò la Cisgiordania nel 1967, con un impatto negativo sulla vita agricola palestinese, imponendo restrizioni militari sempre più severe e continuando a rubare terre palestinesi per costruire ed espandere insediamenti e avamposti israeliani illegali.

Anche se la Striscia e la Cisgiordania sono distanti solo 33 chilometri, tra i loro punti più vicini, le restrizioni israeliane hanno impedito, per lungo tempo, gli spostamenti e l’interazione tra i due territori palestinesi, anche prima del recente conflitto.

Mai così tanti insediamenti. L’espansione degli insediamenti israeliani nella Cisgiordania occupata è, oggi, al livello più alto almeno dal 2017, quando le Nazioni Unite hanno iniziato a monitorare tali dati, secondo un rapporto del segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres. Nonostante le tregue succedutesi a Gaza, gli assalti in Cisgiordania si sono moltiplicati. Hanno superato quota 700, e 1.700 strutture palestinesi sono state demolite dall’inizio dell’anno, sempre secondo l’Onu. In molti villaggi palestinesi si vive di paura. Violenza fisica, vandalismo, distruzione di proprietà, limitazioni nei movimenti, indebolimento della struttura amministrativa di ciò che resta dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) sono all’ordine del giorno.

Lo sguardo al futuro. Prima del 7 ottobre, molti palestinesi vivevano di turismo nei luoghi della cristianità, ma anche dell’artigianato e dall’esportazione dell’olio d’oliva. L’insicurezza interna, aggiunta all’impossibilità di accesso ai loro campi, sta rendendo più fragili le loro prospettive di vita.

Tra questi, oggi, i cristiani in Cisgiordania costituiscono una piccola minoranza (circa 2-6% della popolazione, a seconda delle stime), prevalentemente concentrata tra Ramallah e Betlemme, con forti cali demografici dal 1948, ma con una presenza significativa di varie confessioni (latini, greco-ortodossi, melchiti).

Per raccontarci come vivono oggi i cristiani l’attesa del Natale abbiamo intervistato Nizar Lama, cristiano palestinese che vive a Betlemme, 37 anni, padre di tre figlie, guida turistica in Terra santa. Ha portato la sua testimonianza, la scorsa settimana, nelle parrocchie di S. Maria Ausiliatrice e di Sant’Angelo e Santa Maria sul Sile. L’abbiamo raggiunto al termine dell’incontro nella chiesa di Sant’Angelo (a cui si riferisce la foto qui sopra).

Nizar può raccontarci brevemente la quotidianità della sua comunità dopo il 7 ottobre 2023?

Dopo il 7 ottobre, tutta la nostra vita è cambiata. Mentre Gaza era sotto un continuo bombardamento, la Cisgiordania ha avuto un assedio in tutti gli aspetti della vita. 300 mila lavoratori palestinesi, che lavoravano all’interno dello Stato di Israele, hanno perso il loro lavoro. Sono aumentati i blocchi stradali, da parte dell’esercito israeliano dentro la Cisgiordania, superando i mille blocchi stradali tra una città e l’altra. I nostri figli hanno perso due anni di scuola.

La mia città, Betlemme, ha sofferto enormemente, perché è una città a vocazione turistica e viveva delle entrate dei visitatori. Accoglievamo, prima della guerra, oltre 3 milioni di turisti all’anno. Secondo il comune sono oltre 15 mila le persone disoccupate, su poco più di 30 mila abitanti.

Al crollo del turismo nelle ultime settimane, si sono aggiunti attacchi violenti dei coloni israeliani ai contadini palestinesi che coltivano campi e uliveti in Cisgiordania. La fatica per la sopravvivenza ha preso il posto della gioia dell’attesa?

La tregua a Gaza non ha migliorato la situazione. Anzi, al crollo del turismo, che ha sempre offerto lavoro e sostentamento a molte famiglie di Betlemme, si sono aggiunti, da fine agosto, attacchi violenti dei coloni israeliani ai contadini palestinesi che coltivano campi e uliveti in Cisgiordania. Anche la raccolta delle olive, che rappresenta una importante fonte di sostentamento per molte famiglie palestinesi, è stata bloccata dalle violenze dei coloni. Viviamo tutti i giorni con la paura e con un sentimento di prigionia. L’assedio non si ferma all’economia, ma si insinua, distruttivo, nei dettagli della nostra quotidianità, facendoci sentire come se vivessimo in una grande prigione a cielo aperto. Siamo circondati dal muro di separazione alto fino a 8 metri, 42 chilometri solo attorno alla mia città Betlemme.

Come si sta preparando Betlemme a questo Natale?

Il Comune di Betlemme, dopo 2 anni di lutto per la guerra a Gaza, ha deciso, quest’anno, di rimettere un grande albero di 8 metri, addobbato con le luci natalizie nella piazza della Mangiatoia, davanti alla Basilica della Natività. A Betlemme il Natale è una festa che coinvolge cristiani, musulmani, famiglie di ogni ceto e provenienza. Per tutti i cristiani e i musulmani (i quali lo riconoscono come un profeta al contrario degli ebrei, ndr) questo è il luogo dove è nato Gesù. Siamo molto emozionati e felici per questo. Speriamo che la nascita di Gesù, principe della pace, possa portare la pace alla nostra terra. Vogliamo pregare liberamente nei luoghi santi e che si fermi questo assedio

Le scuole, gli ospedali, i luoghi di lavoro sono sempre più difficili da raggiungere per gli abitanti della Cisgiordania. Cosa sognano i ragazzi e i giovani palestinesi?

I giovani vogliono vivere in pace. Siamo molto stanchi. Siamo un popolo che ha sofferto molto. Dal 1948 la nostra terra è segnata dalla guerra, dalla violenza. Noi come i nostri figli vogliamo vivere in pace. In questi 77 anni, abbiamo pagato un prezzo altissimo. Il nostro sogno di pace è anche quello di tantissimi ebrei in Israele, che vogliono la pace con gli arabi. Sia gli ebrei che noi palestinesi vogliamo vivere in pace. Per questo ci auguriamo con tutto il cuore che i capi politici si metteranno d’accordo per realizzare questo sogno grande: vivere insieme e in pace. Non possiamo permettere che la speranza muoia proprio lì dove è nata!

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