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Guerra in Ucraina: le preoccupazioni della Georgia

Padre Gabriele Bragantini, veronese da molti anni a Batumi, una delle principali città del Paese, racconta: “Si vive sospesi, ancora aperte le ferite del 2008”

21/03/2022

Il mare è lo stesso, anche se, geograficamente, l’Ucraina è lontana, dalla parte opposta del mar Nero. A Batumi, una delle principali città della repubblica della Georgia, centro turistico balneare, però, la guerra in Ucraina viene sentita come vicina. I motivi sono vari: il fresco ricordo del conflitto del 2008, quasi ignorato in Occidente, quando i carri armati russi invasero per qualche settimana il Paese, a sostegno dell’auto-proclamata repubblica russofona dell’Ossezia del Sud; il fatto che ancora oggi, questo territorio, e l’altra regione dell’Abkhazia siano, di fatto, delle enclave indipendenti, anche se non riconosciute dalla Georgia e dalla comunità internazionale; il desiderio della piccola repubblica, incastonata tra mar Nero e Caucaso, di entrare a pieno titolo nell’Europa e, forse, anche nella Nato; la difficoltà a realizzare questo sogno, sia perché geograficamente il Paese è giusto al confine tra Europa e Asia, sia perché la presenza del “grande vicino”, la Russia, è comunque minacciosa, tanto che qualcuno teme addirittura un’imminente invasione; sia perché infine, come dimostra la presenza delle due repubbliche secessioniste, quel territorio è caratterizzato da un delicatissimo, anche se ricchissimo, mosaico di etnie, lingue, religioni e riti.

“Confermo, qui si respira una certa preoccupazione” spiega da Batumi padre Gabriele Bragantini, veronese, da molti anni, in Georgia, assieme alla comunità missionaria creata dalla sua congregazione, della quale fa parte anche il vescovo del territorio, mons. Giuseppe Pasotto. Padre Gabriele si divide tra le città di Kutaisi, all’interno, e appunto Batumi, dove segue un centro di recupero per i dipendenti da alcol e un dormitorio. Una testimonianza di carità e dialogo, per una Chiesa, quella cattolica, che è minoranza rispetto alla maggioranza ortodossa e ai musulmani.

“Viviamo sempre con una spada di Damocle sulla testa, non conosciamo le intenzioni reali del nostro vicino, e abbiamo ben presente la nostra storia. Nell’Ottocento questo Paese è stato assorbito dall’impero zarista, e fu il momento in cui uscì dal guscio, si svilupparono le città; poi, nuovamente, dall’Unione Sovietica. Proprio quest’anno si celebrano i cento anni dall’ingresso delle truppe sovietiche in Georgia, che nel 1917 si era resa indipendente. Nel 1989 il desiderio di indipendenza fu pagato in modo pesante, con 23 morti. Poi c’è stata l’indipendenza, nel 2008 è arrivata la guerra, una ferita ancora aperta. Le conseguenze di quel conflitto sono ancora molto visibili. Ogni tanto, dalla capitale Tblisi si vedono ancora i carri armati russi che pattugliano i confini della Repubblica russofona dell’Ossezia del Sud”. Di fatto, la regione, pur formalmente all’interno dei confini georgiani, è indipendente, così come l’Abkhazia (in quest’ultimo caso il conflitto è più antico, risale al 1991). “Fino al 2008 nessuno parlava dell’Ossezia del Sud - spiega ancora padre Bragantini -. Poi, da un giorno all’altro, la questione è esplosa. Ci sono stati molti profughi georgiani, che hanno dovuto iniziare una nuova vita, li abbiamo con noi ancora oggi. In Ossezia è quasi impossibile entrare, ogni tanto i confini vengono spostati di qualche metro. La situazione è molto instabile, anche se la mediazione francese pose fine al conflitto, dopo poche settimane. Oggi, anche alla luce di quanto accade in Ucraina, sta emergendo la verità storica. Quel conflitto fu un’iniziativa della Russia”.

Insomma, si vive “sospesi” nell’incertezza. “In questo contesto, certamente la Georgia strizza l’occhiolino all’Europa, ma al tempo stesso, memore delle lezioni della storia, cerca anche di non inimicarsi la Russia. Qui si dice che è meglio avere un amico vicino che un amico lontano. Certo, in questi giorni la popolazione è solidale con l’Ucraina (la foto si riferisce a una manifestazione che si è svolta proprio a Batumi, ndr). Sono anche partiti degli aiuti. Al tempo stesso, il Governo ha una politica prudente tergiversa. Occorre essere sinceri... C’è chi dice che Putin stia pensando di occupare anche la Georgia, e la cosa non è del tutto priva di fondamento. Se lo facesse, arriverebbe a Tblisi in un attimo”. Insomma, anche se il Paese è coinvolto nel piano d’azione per aderire alla Nato, la prospettiva non appare realistica in tempi brevi.

Con il missionario parliamo anche del dialogo ecumenico e interreligioso esistente nel Paese: “Il nostro è un Paese con molte religioni. In questa zona prevalgono i musulmani, c’è una radicata presenza ebraica, sono presenti cristiani di varie confessioni e riti, come gli armeni. Devo dire, però, che abbiamo rapporti difficili con gli ortodossi, paradossalmente più che con gli islamici. E le recenti dichiarazioni del Patriarca di Mosca hanno alzato una barriera”.

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