venerdì, 13 giugno 2025
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Stati Uniti: Raid nelle chiese di Los Angeles, 114 arresti

La denuncia: “Strappati alle famiglie, serve riforma del sistema di immigrazione”

Una cappa di paura e di violenza inattesa è scesa domenica sulla celebrazione della Pentecoste nelle chiese di Los Angeles. “Quattordici membri di una delle nostre chiese episcopaliane non erano in chiesa il giorno di Pentecoste, perché il loro Governo li ha strappati dalle braccia delle loro famiglie, dalla loro casa e dal ricevere l’Eucarestia”. La dichiarazione dura di John Harvey Taylor, vescovo della diocesi episcopaliana di Los Angeles, si è abbattuta come un fulmine sui suoi fedeli, rivelando la drammatica realtà di molti membri della sua chiesa. Il vescovo ha continuato con parole inequivocabili: “I nostri fratelli in Cristo non sono criminali. Hanno accettato offerte di lavoro onesto da aziende statunitensi, sfidando un sistema di immigrazione al collasso, che i politici non vogliono sistemare”.

La denuncia dei raid degli agenti dell’immigrazione (Ice) Usa, che nel fine settimana ha portato all’arresto di 114 immigrati, ha scatenato proteste violente nel centro della città e reazioni aggressive da parte dell’Amministrazione del presidente, Donald Trump. Queste incursioni a sorpresa non hanno risparmiato neppure i luoghi di culto. Nonostante clero, società civile e politici abbiano denunciato l’inutile escalation di violenza, la Casa Bianca ha ordinato il dispiegamento di oltre 2.000 soldati della Guardia nazionale: una mossa definita “folle” dal governatore della California, Gavin Newsom, che ha minacciato di denunciare Trump.

Questo massiccio dispiegamento di forze non è una novità per il presidente statunitense. Durante il suo primo mandato, Trump aveva già collaborato con diversi governatori che, su sua richiesta, avevano inviato le loro truppe della Guardia nazionale, a Washington, in risposta alle rivolte scoppiate in seguito all’omicidio dell’afroamericano George Floyd.

L’appello dei vescovi alla responsabilità politica

Di fronte a questa escalation, la Chiesa cattolica di Los Angeles ha alzato la voce. L’arcivescovo José Gomez ha lanciato un appello alla preghiera, esortando al contempo alla “moderazione e alla calma” in seguito agli scontri scoppiati in città. Nella sua dichiarazione, Gomez si è detto “preoccupato” per le retate delle forze dell’ordine in materia di immigrazione, chiedendo una soluzione più completa per la gestione nazionale delle questioni relative all’immigrazione. “Siamo tutti d’accordo sul fatto che non vogliamo immigrati clandestini, noti terroristi o criminali violenti, nelle nostre comunità - ha affermato l’arcivescovo -. Ma non c’è bisogno che il Governo adotti misure di controllo in modo da provocare paura e ansia tra gli immigrati comuni e laboriosi e le loro famiglie”. Questa preoccupazione è condivisa anche oltre i confini della Chiesa cattolica. A marzo, la National association of evangelicals, insieme ad altre due organizzazioni evangeliche e alla Conferenza episcopale cattolica degli Stati Uniti, ha pubblicato un rapporto in cui si afferma che circa un cristiano su dodici, negli Stati Uniti, è a rischio di espulsione o vive con qualcuno che lo è. Un dato che evidenzia la pervasività del problema, e l’urgenza di un intervento più determinato sia da parte della Chiesa, sia da parte dei molti cristiani eletti come deputati o senatori.

Immobilismo legislativo e propaganda presidenziale

Mons. Gomez ha esortato con fermezza il Congresso “a impegnarsi seriamente per sistemare il nostro sistema di immigrazione, ormai inefficiente, che spinge così tante persone a cercare di attraversare illegalmente i nostri confini”.

Ha ricordato che “sono passati quasi 40 anni dall’ultima riforma delle nostre leggi sull’immigrazione. È troppo tempo ed è ora di fare qualcosa al riguardo”. Un monito chiaro, che sottolinea l’immobilismo politico su una questione che incide profondamente sulla vita di milioni di persone. La Casa Bianca, intanto, persiste nella sua narrazione. Trump ha puntato il dito, senza prove, contro quelli che ha definito agitatori e insorti pagati, nonostante molte proteste siano state pacifiche e non violente. Il presidente cercava da mesi uno scontro con la California e, dopo averla minacciata di tagliare i fondi federali, ora si trova a dover impiegare le risorse per le truppe, illudendosi che sia la pace armata la risposta anche alle presunte minacce degli immigrati.

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