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Dono senza confini: in Bolivia, sulle orme dell’Avis
Un vescovo donatore di sangue, e volontario Avis. Già questa, potrebbe essere una notizia. Ma lo è ancora di più, se si pensa che il vescovo in questione ha fondato l’Associazione dei donatori di sangue, in Bolivia, dove vive da decenni. Si tratta di mons. Eugenio Coter, di origini bergamasche, vescovo del vicariato apostolico di Pando, e amministratore apostolico di Reyes.
Mons. Coter è uno dei numerosi preti bergamaschi che ha raggiunto il Paese sudamericano, grazie a una sorta di gemellaggio, propiziato da papa Giovanni XXIII. Ben tre di loro sono diventati vescovi in Bolivia, e mons. Coter, in particolare, segue vaste zone amazzoniche del Paese, al confine con Brasile e Perù.
Di recente, è stato due volte nel trevigiano, prima alla messa celebrata a Pianezze, il 7 settembre, nel tempio del Donatore, in occasione della Giornata provinciale del donatore; quindi, di recente, a Treviso, ha incontrato la dirigenza dell’Avis regionale, mettendo a punto alcuni progetti di collaborazione e cooperazione. In quell’occasione, lo abbiamo intervistato.
“Grazie ad Avis abbiamo portato in Bolivia l’esempio della gratuità sul modello italiano, perché la solidarietà è il linguaggio universale che permette di superare tutte le barriere”, ci ha spiegato il vescovo. Un’idea nata anni fa quasi per caso, a causa della denuncia di un missionario camilliano, che denunciava la drammatica carenza di sangue nelle strutture sanitarie della Bolivia, uno dei Paesi più poveri dell’America Latina. Così, è nata l’Associazione boliviana dei donatori di sangue (Abds), oggi accreditata alla Fiods, la Federazione internazionale dei donatori di sangue.
Di strada ne è stata fatta, grazie anche al sostegno delle Avis del Veneto e dell’Avis nazionale, in una duplice direzione: contribuire al fabbisogno di sangue negli ospedali boliviani, e aiutare a creare una cultura diffusa del volontariato.
Si tratta, infatti, di sostituire la donazione a pagamento, da parte dei parenti degli ammalati, con quella volontaria e gratuita.
“Si tratta - ricorda Coter - di una sfida culturale profonda e molto complessa -. In Bolivia, una sacca di sangue può costare fino a 100 dollari, e i beneficiari devono garantire due nuove sacche da parenti, amici o datori a pagamento per riceverlo. Noi cerchiamo di cambiare questa mentalità, promuovendo la gratuità e la trasparenza”.
I dati diffusi in Bolivia dal Ministero della Salute, a ottobre 2024, hanno confermato il successo anche di questo decennale impegno: su 91.443 donazioni totali tra gennaio e agosto, ben il 50,2% erano state volontarie e non remunerate. Superare la soglia del 50% è stato un primo traguardo storico, essenziale per la sicurezza e l’autosufficienza del sistema trasfusionale del Paese.
Grazie al progetto sostenuto da Avis, oggi in Bolivia si registrano oltre 30.000 donazioni volontarie nelle aree di Cochabamba ed El Alto, con una rete di volontari e operatori sanitari sempre più formati. Tuttavia, restano criticità come lo spreco del plasma e la mancanza di trasparenza nella gestione economica delle banche del sangue. Mons. Coter porta l’esempio della “sua” Riberalta, la città amazzonica, che conta circa 100 mila abitanti, sede del vicariato apostolico: “Lì non esiste la banca del sangue, bisogna ricorrere, se necessario, a rischiose trasfusioni dirette, oppure bisogna raggiungere l’ospedale di Trinidad, a settecento chilometri di distanza”. La speranza è in “un cambio di visione, finora tutto è stato fatto nella logica del gestore, non delle persone”.
Quello del fabbisogno di sangue è soltanto uno dei tanti ed enormi problemi che si vivono in Bolivia, oggi alle prese con una crisi economica e alimentare di vaste proporzioni, anche a causa di scontri politici e sindacali che hanno interessato il Partito socialista, il Mas, al potere nel Paese per un ventennio, caratterizzato dalla presenza, ultimamente soffocante, dell’ex presidente, Evo Morales.
Alle elezioni di agosto e ottobre, svoltesi con il doppio turno, il Paese ha voltato pagina, e si affida a un centrista, Rodrigo Paz. Molti sperano in un cambiamento, al momento ancora incerto.
Certamente, l’area amazzonica, dove vive mons. Coter, è alle prese con gli attentati all’ambiente e con il dramma del narcotraffico, che coinvolge numerosi giovani. La Bolivia, è, infatti, tra i maggiori Paesi coltivatori di coca.
“Lo scorso anno, in Bolivia - sono andati a fuoco 14 milioni di ettari, una superficie seconda al solo Brasile - racconta il vescovo -. I cambiamenti climatici stanno portando a disastri ambientali, sociali, ed economici”.
L’altra piaga, appunto, è il narcotraffico, legato, peraltro, ad altri traffici illegali e alle miniere clandestine. Centinaia, le piste clandestine, dalle quali decollano piccoli aerei: “Non sono mai vuoti, ma contengono mediamente 500 chili di cocaina. Velivoli che, poi, vengono, solitamente, dati alle fiamme, nei Paesi confinanti, soprattutto in Paraguay. Cosa sono, del resto, 35 mila euro, il valore medio di un Cessna o di un Piper usato, di fronte a un carico di 500 chili di coca, il cui costo si aggira sui 30 euro al grammo?”. Rapidi riferimenti che raccontano di una sfida immensa.



