Prevenire ed educare
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Dal Trevigiano ai laboratori hi-tech di Singapore, passando per la Svizzera e la California: è la traiettoria di Luca Dal Zilio, 36 anni, oggi professore di geofisica alla Nanyang Technological University, dodicesima università nel ranking mondiale. L’Unione Europea delle Geoscienze, la più grande organizzazione scientifica del continente dedicata allo studio della Terra con più di ventimila membri, gli ha assegnato l’Outstanding Early Career Scientist Award 2026, riconoscendolo come una delle voci più autorevoli della nuova generazione di scienziati.
Per il ricercatore veneto si tratta di una doppia consacrazione: pochi giorni fa, Science – una delle due riviste scientifiche più prestigiose al mondo, insieme a Nature – ha scelto il suo ultimo studio sul terremoto in Myanmar per la copertina dell’edizione di novembre.
“Sono profondamente onorato di ricevere questo premio EGU. Questo riconoscimento internazionale non è solo un traguardo personale, ma testimonia il lavoro di squadra e la curiosità scientifica che ho condiviso con tanti colleghi negli anni. Spero che questo risultato possa ispirare altri giovani – anche nella mia terra d’origine – ad appassionarsi alla ricerca scientifica.”
Un percorso globale, radici italiane
Dal Zilio è cresciuto a Quinto di Treviso, si è laureato in geofisica all’Università di Padova e ha conseguito il dottorato al Politecnico federale di Zurigo (Eth Zurich), una delle università tecniche più prestigiose d’Europa. Dopo un periodo di ricerca come Drinkward Postdoctoral Fellow al Caltech di Pasadena, in California, è tornato in Svizzera e dal 2024 vive a Singapore, dove – a soli 36 anni – guida il Computational Geophysics Lab presso l’Earth Observatory of Singapore. Le sue ricerche combinano modelli matematici, supercomputer e intelligenza artificiale per comprendere come nascono i terremoti e come si propagano le fratture nelle faglie. L’obiettivo non è soltanto scientifico: capire meglio i meccanismi dei grandi sismi significa anche migliorare la prevenzione, la sicurezza e la progettazione nelle aree più esposte al rischio.
Dal laboratorio alla copertina di Science
L’ultimo studio guidato da Dal Zilio ricostruisce in 3D il terremoto di Mandalay (Myanmar, 28 marzo 2025, magnitudo 7.8), uno dei più rapidi e violenti mai registrati su terraferma. Grazie all’uso di dati satellitari, misure geodetiche e simulazioni numeriche, il team ha scoperto che la frattura lungo la faglia di Sagaing si è propagata a una velocità superiore a quella delle onde sismiche, in una modalità chiamata supershear.
Che cosa sono le rotture “supersoniche”? “Durante un terremoto, la frattura nella crosta terrestre avanza lungo la faglia a una velocità di circa 3-4 chilometri al secondo. In casi molto particolari – come nel terremoto del Myanmar – la rottura può correre ancora più veloce, superando la velocità delle onde di taglio (le cosiddette onde S): in quel caso si parla di supershear. È l’equivalente sismico di un aereo che supera il muro del suono – spiega Dal Zilio – e può generare onde concentrate che scuotono il terreno con maggiore intensità in alcune direzioni”.
“Capire dove e quando queste rotture “supersoniche” possono innescarsi è fondamentale per la progettazione antisismica e per aggiornare i modelli di pericolosità. Lo studio mostra che non basta tracciare la linea di una faglia: bisogna considerare l’intera zona che la circonda – il suo spessore, la velocità delle onde e la geometria – perché sono proprio queste proprietà a determinare se una faglia può innescare un regime supershear”.
L’articolo, firmato da un consorzio di istituti asiatici, europei e americani, mostra come una “zona di danneggiamento” profonda due chilometri possa trasformarsi in una sorta di autostrada per i terremoti, aprendo una nuova prospettiva nella valutazione del rischio sismico globale.