Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Dal confine est al confine ovest, cammini che cambiano il mondo
Resoconto del recente viaggio in Francia con GiaveraFestival. Dopo aver camminato a giugno oltre Trieste, stavolta i partecipanti hanno percorso la rotta “occidentale”, al confine tra Italia e Francia, arrivando fino a Marsiglia

Stravolta… si cambia? Il titolo della 26ª edizione del GiaveraFestival, oltre agli appuntamenti di confronto e riflessione nei giorni di luglio a Giavera, ci ha portati sui confini d’Italia, a est e a ovest. Occasioni per “esplorare” un cambiamento in atto, nel flusso di persone che cercano possibilità di vita migliore, per sé e per i propri cari, attraversando frontiere e Paesi, in percorsi di mesi e di anni. La cosiddetta “rotta balcanica” ci ha condotti dapprima al “confine est” appena oltre Trieste: a giugno, abbiamo camminato sul crinale tra Slovenia e Italia, guidati dal regista Mauro Caputo che da anni percorre quei sentieri sulle tracce di chi tenta di entrare nel nostro Paese. Abbiamo incontrato anche altri che si impegnano nell’accoglienza e nell’assistenza di chi arriva a Trieste, tra cui Linea d’ombra.
Al “confine ovest”: Val Susa e Briançon
A fine agosto, ci siamo spostati sul “confine ovest”, tra Italia e Francia. Già, perché la stragrande maggioranza di chi arriva attraversando i Balcani, ma anche di molti che sbarcano a Lampedusa, ha come meta non l’Italia, ma la Francia, l’Inghilterra e soprattutto la Germania, dove hanno parenti o contatti. Siamo passati in val Susa, Piemonte, sul tratto da Oulx a Claviére e Briançon, attraversando il confine francese tra i boschi sul Monginevro, e incontrando coloro che lì si occupano di chi tenta di passare: una sessantina di persone ogni giorno, molte famiglie con bambini e anziani. Ultimamente molti pakistani e afghani, in viaggio da mesi o anni, insieme a maghrebini e africani.
D’estate è relativamente semplice, d’inverno, con temperature sui -20 e più di un metro di neve, è assai pericoloso. Da un lato e l’altro del confine si sono attivati non solo locali di rifugio, ma anche squadre volontarie che partono di notte se giunge una richiesta di soccorso. Le istituzioni hanno atteggiamenti contraddittori, anche se alla fine prevale il “lasciar fare”, pur con alcuni respingimenti e azioni contro occupazioni di edifici da parte di gruppi di aiuto. Interessante sia la collaborazione tra volontari, al di qua e al di là del confine, sia l’importante opera di sensibilizzazione della popolazione a Briançon, estesa anche oltre la cittadina, per iniziativa dell’associazione Tous Migrants. Da un lato, l’imperativo per molti abitanti di queste montagne è chiaro: “Non si abbandona nessuno a morire in montagna”. E’ lo stesso per i pescatori di Lampedusa: “Non si può non soccorrere chi si trova in mare”. Dall’altro, emerge con forza la convinzione che “Noi abbiamo diritto di aiutare queste persone, anche se ci portano in tribunale”, come è accaduto in qualche occasione.
Marsiglia, città meticcia
Poi siamo scesi a Marsiglia, porto sul Mediterraneo, seconda città della Francia, “città meticcia” costituita da diversità culturali stratificate: dai greci che l’avrebbero fondata, fino agli italiani, armeni, algerini, africani, cinesi… Un’immersione in una varietà che tocchi con mano in colori, quartieri, iniziative, contraddizioni, percorsi… Un grande e ricco laboratorio, anche se non sempre coordinato, segnato dalle disuguaglianze vissute in banlieu e dalle molteplici iniziative sia di assistenza sia di impegno culturale e artistico, a livello di base o di stampo istituzionale (vedi per esempio lo spazio Friche, enorme ex-stabilimento di lavorazione del tabacco ristrutturato e messo a disposizione di varie iniziative, anche informali, o il Mucem, Museo delle civiltà europee e del Mediterraneo, che collega l’antichità del forte St. Jean con l’avveniristico padiglione J4).
Ventimiglia, il difficile valico
L’ultima tappa è Ventimiglia, dove si tenta ancora di passare, nonostante l’impegno coordinato di polizia italiana e francese. Da soli, in gruppo, talvolta cedendo ai passeurs che anche sotto gli occhi dei poliziotti offrono “passaggi” da 300 euro oltrefrontiera. Storie di ostilità locali ma anche di chi è capace di riconoscere umanità e si impegna a una minima assistenza, a costo di una discriminazione che arriva fino all’isolamento.
Tra flusso migrante e diversità da gestire
Numerose le considerazioni generate da questo viaggio. Prima fra tutte la percezione di un fiume di persone, che per la maggior parte non avvertiamo, almeno in Italia, in rivoli che tenacemente cercano e trovano le proprie vie verso un sogno costruito in mesi e anni di cammino. Un fiume che propone con insistenza la questione del migrare, del diritto a cercare altrove un futuro degno di essere vissuto, a fronte di guerre, discriminazioni, tragiche ingiustizie e disuguaglianze, catastrofi climatiche ed ecologiche… Come emergeva in uno degli incontri durante il viaggio, si tratta di considerare “un’altra geografia, oltre gli stati nazionali”, una “geografia umana” in cui “le frontiere si ripiegano all’interno basate sulla differenza di classe”, perché c’è il rischio “che la pietà si fermi ai confini della classe sociale” cui apparteniamo. E d’altra parte si pone necessaria una riflessione sullo stratificarsi di diversità culturali, che possono diventare insostenibili se non si sceglie di investire per favorire incontro, mutua gestione dei conflitti, riconoscimento reciproco…
Perché la diversità “può” diventare ricchezza, ma solo a patto di un lavoro congiunto per renderla reciprocamente accettabile, comprensibile, “sicura”. Solo allora potrà fornire a sua volta risorse per gestire una complessità che altrimenti rischia di diventare sempre più minacciosa e incomprensibile.