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Intervista a Ilvo Diamanti post elezioni

Il commento dello studioso sui risultati delle elezioni politiche del 25 settembre. Nella sua opinione, le elezioni 2022 rappresentano la "conclusione di un percorso" iniziato già molti anni fa. Salvini ha pagato il prezzo di aver trasformato il suo partito in forza nazionale, spingendolo a destra. 

30/09/2022

Di lui sono note le sue “mappe” a colori, che, di volta in volta, su sito del suo istituto Demos, e sulla stampa nazionale, connotano i cambiamenti politici avvenuti dopo ogni elezione. Ma anche, soprattutto in Veneto, gli studi sul Nordest e sulla Lega, essendo stato uno dei primi studiosi a cogliere e approfondire l’importanza del movimento politico che ha segnato la politica degli ultimi trent’anni in Veneto. In realtà, il primo parlamentare della Liga è del 1983, e proprio in quell’anno il sociologo e politologo Ilvo Diamanti faceva i suoi primi studi sul partito allora nascente, poi trasformatosi in Lega Nord, e poi semplicemente in Lega, sotto la guida di Matteo Salvini.

Le elezioni di domenica scorsa, secondo Diamanti, rappresentano la “conclusione di un percorso”, fotografata da una mappa in gran parte azzurra  (con poche isole rosse e gialle). Se, invece, si guarda ai partiti, e non alle coalizioni, il giallo del M5S diviene dominante, a sud di Roma.

Cos’è successo, dunque, professore, domenica scorsa?

E’ una frattura, una novità nella politica italiana, e, al tempo stesso, la conclusione di un percorso già avviato da tempo. Che in Italia ci fosse già una maggioranza silenziosa di destra, lo si sapeva da tempo. Giorgia Meloni era l’unica leader all’opposizione del Governo Draghi di larghe intese, un Esecutivo che pure godeva della fiducia dei cittadini, ed è stata premiata, inutile girarci intorno. Ma le premesse di questa vittoria erano state poste da tempo.

Da quando? E quali sono queste premesse?

Fratelli d’Italia cresce assorbendo il voto della Lega, e in parte quello di Forza Italia. E’ decisivo il fatto che a spingere ancora più a destra l’elettorato sia stata la Lega di Salvini, si tratta di un percorso che era già avvenuto.

E qui veniamo all’ascesa e alla repentina caduta di Salvini...

Salvini ha trasformato la Lega da partito territoriale e autonomista a forza nazionale di destra. L’ha trascinata, trainata, fino al 34% delle elezioni Europee del 2019. Ha avuto il merito di spingere la Lega oltre il suo ambito, i suoi territori, in quel momento senza padrone politico. La Lega Nord diventa Lega nazionale. Ma oggi paga un prezzo proprio per quella scelta.

Perché?

Essenzialmente per due motivi. Salvini ha rinunciato all’identità territoriale della Lega, e, in secondo luogo, nel momento in cui si è spostato in un nuovo territorio politico, si è esposto al rischio di esporsi a una nuova concorrenza, magari da parte di qualcuno che ha più titolo per occupare quella zona. Così, piano piano, la lista Fratelli d’Italia è cresciuta a scapito della Lega. Bisogna dire, poi, che qui entra in gioco un altro fattore: oggi i partiti contano meno dei leader. E Giorgia Meloni ha saputo costruire il suo profilo, anche andando oltre la sua area. Pensiamo ai suoi messaggi, molto inclusivi, legati alla tradizione italiana... “Sono Giorgia... sono una donna... sono una madre... sono cristiana”.

Se parliamo di tradizione cristiana, pure Salvini, con l’esibizione dei rosari, si è “dato da fare”...

Ma vuole mettere la differenza? Così facendo, Salvini non ha generato particolare consenso, l’universo cattolico è ampio e variegato, la sua influenza va ben oltre i praticanti. Questa, per la Chiesa, è tra l’altro una fortuna. Una cosa è ostentare, un’altra è riferirsi a un ambito, a un orizzonte. Va ricordato che tutte le indagini che ho condotto in questi anni confermano che, tra i praticanti, la parte politica di riferimento, almeno in misura di due contro uno, è il centrodestra.

La Lega può tornare a essere quella di prima, cioè un partito territoriale, come chiedono in molti, tra leader locali e militanti?

Oggi come oggi non si vede più, nelle mappe, una specificità del Nordest. Ma, sotto sotto, il fuoco brucia ancora. Pensiamo a quanto è avvenuto alle Regionali di due anni fa, pur avvertendo che la realtà politica è sempre in evoluzione. Ha preso più voti la Lega guidata da Salvini o la lista Zaia? Non c’è stata partita, a favore di Zaia, che secondo tutte le rilevazioni continua ad avere un consenso altissimo. Semplificando, possiamo dire che, nel 2020, la Liga ha doppiato la Lega. Insomma, la questione dell’autonomia è ancora presente, e non è una cosa da poco. E’ quella che ancora distingue la Lega dalle altre forze.

Mentre attendiamo se rinasce la Lega Nord, è nata la Lega Sud, con il risultato del Movimento 5 Stelle?

Direi che lo sono sempre stati, si sono buttati quasi da subito nel Meridione, e ciò è inevitabile nel momento in cui diventano il Prc, cioè il Partito del reddito di cittadinanza. Il M5S, dopo che ha governato per quasi cinque anni, non può più essere definito un “non partito”. Eppure, hanno saputo ritrovare uno spirito, e sono aiutati dal fatto di essere ben definiti e delimitati, anche territorialmente. E’ quello che, per esempio, manca al Pd.

Cosa si può dire della sconfitta del Pd?

Torniamo alla mappa. Se la osserva, vedrà il limite attuale del Pd, il coloro rosso sta diventando un’isola in alcune zone appenniniche, sempre più erosa. I fattori della crisi del Pd sono molti. Tra questi, cito l’astensionismo. Spesso, l’elettore di sinistra non cambia schieramento, ma se non è soddisfatto dalla proposta, semplicemente non vota, e questo è visibile nell’aumento dell’astensionismo proprio nelle cosiddette “regioni rosse”. Un altro aspetto è la personalizzazione della politica. Come dicevamo, il leader conta di più dei partiti, e il Pd, da questo punto di vista, è penalizzato. Per la sua storia, nel Pd la personalizzazione può nascere solo dall’interno, ma poi diventa contraddittoria con la sua stessa identità. E’ esemplare la parabola di Matteo Renzi, che alle Europee del 2014 porta il Pd a oltre il 40 per cento, ma poi è stato rimosso.

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