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Cisl di Governo?

Luigi Sbarra, fino a poche settimane fa segretario generale, è stato “arruolato” nel Governo presieduto da Giorgia Meloni, come sottosegretario con delega per il Sud. Una scelta che ha suscitato molte polemiche. Secondo il trentino Giorgio Tonini, già senatore, negli anni Ottanta assistente del segretario generale Pierre Carniti, “la premier ci guadagna, il sindacato è meno autonomo e unito, il Pd, che è sempre più appiattito sulla Cgil, sta a guardare”
19/06/2025

Una “bomba”, deflagrata nel mondo politico e sindacale, pochi giorni dopo i falliti referendum sul lavoro. Luigi Sbarra, fino a poche settimane fa segretario generale della Cisl, una delle sigle dei sindacati “confederali”, assieme a Cgil e Uil, è stato “arruolato” nel Governo presieduto da Giorgia Meloni, come sottosegretario con delega per il Sud.

Non è, certamente, la prima volta che un leader sindacale si “butta” in politica, al termine del suo mandato. Solo restando alla Cisl, abbiamo gli esempi di Pierre Carniti, un “senza tessera” di area socialista, che si candidò prima nel Partito socialista e poi nei Democratici di sinistra, transitando per i cristiano-sociali; di Franco Marini, che passò direttamente dal sindacato alla poltrona di ministro del Lavoro, e, quindi, fu tra i fondatori del Partito popolare, della Margherita e del Partito democratico, diventando, tra l’altro presidente del Senato; di Sergio D’Antoni e di Savino Pezzotta, che si proposero come leader centristi, il primo fondando con Giulio Andreotti Democrazia europea (successivamente, aderì al Pd), il secondo candidandosi nell’Udc; di Annamaria Furlan, entrata in Parlamento nelle liste del Pd, oggi deputata, nella fila di Italia viva. Scelte simili, anche per altri dirigenti, pensiamo al veneto Pier Paolo Baretta, già deputato del Pd.

La scelta di Sbarra, però, è apparsa subito dirompente, per alcuni motivi. In primo luogo, essa avviene a pochissimo tempo dalla scadenza del suo mandato sindacale. In secondo luogo, c’è l’impressione che dal tradizionale “sindacato bianco”, di ispirazione cattolica, arrivi un’apertura di credito non da poco al Governo di destra, molto di più di quanto fosse avvenuto, per esempio, negli anni del berlusconismo, quando, pure, erano transitati per la Cisl leader non certo ascrivibili alla sinistra. In terzo luogo, infine, tale tendenza appare opposta, ma speculare, al sostanziale reciproco “appiattimento” tra la Cgil di Maurizio Landini e il Pd di Elly Schlein.

L’unità perduta

Ci aiuta, in una prospettiva sia storica che d’attualità, Giorgio Tonini, trentino, già presidente della Fuci, senatore di Ds e Pd, negli anni Ottanta impegnato nella Cisl, come assistente del segretario generale, Pierre Carniti. Una stagione in cui si tentò di promuovere in modo forte l’unità tra le sigle sindacali, oggi mai così lontana.

“Guardando all’oggi, mi pare di poter dire che Giorgia Meloni ci guadagna, il sindacato ci perde, e il Pd sta a guardare - afferma Tonini -. La memoria, anche se in questi casi si rischia sempre di essere nostalgici, corre ai tempi della segreteria Carniti. Allora lo slogan che ci faceva da guida era che il sindacato, per essere forte, doveva essere autonomo e unito. In tal modo, avrebbe potuto essere un soggetto attivo, sia nel campo del lavoro, che in quello delle riforme per il Paese, rimaste poi al palo. Carniti fu convinto promotore della Federazione dei sindacati metalmeccanici, organismi simili nacquero per altri settori, sognò di superare il collateralismo, per cui la Cgil guardava al Partito comunista, pur con una significativa componente socialista, la Uil al Partito socialista e ai partiti laici, la Cisl alla Dc, pur con altre presenze culturali, che mai mancarono. Poi, venne il 1985, con il referendum sulla scala mobile, voluto dal Pci, rimasto orfano di Enrico Berlinguer, appoggiato dalla maggioranza della Cgil, e avversato da Cisl e Uil. Carniti, pensava di perdere, e invece fu il Pci a essere sconfitto. Dopo quel referendum, ci sono stati degli alti e bassi, ma si è persa la spinta per l’unità sindacale, anche se nel frattempo sono venuti meno i partiti ideologici, e ci sarebbero state tutte le condizioni per avere, appunto, un sindacato unico e autonomo, come accade in altri importanti Paesi, per esempio la Germania”.

Una voce più debole

Le opportunità, però, non sono state colte, e, quarant’anni dopo il 1985, un altro referendum ha allargato il solco tra Cisl e Cgil. E ora, fa notare Tonini, “la Cgil vuole essere egemone nel campo progressista, e ha «imposto» dei referendum su una legge di dieci anni fa, e di cui non si sentiva il bisogno. La Cisl risponde, mettendo un piede nella maggioranza. Intendiamoci, Giorgia Meloni è intelligente e sa fare politica, non si appiattisce sul tradizionale sindacato della destra, l’Ugl. Si tratta di una mossa intelligente, da rispettare. Di contro, noto un atteggiamento del tutto remissivo del Pd, che è nato per fondere le culture che scrissero la Costituzione, e si trova ora a fare riferimento alla sola Cgil”.

Il problema, piuttosto, secondo Tonini, è l’indebolimento del sindacato nel suo insieme: “Faccio solo un esempio, clamoroso. Come ha affermato lo stesso ministro Giancarlo Giorgetti, l’equilibrio dei conti pubblici, in questi anni, è stato garantito dall’aumento del gettito fiscale, dovuto all’aumento dell’inflazione, per il cosiddetto meccanismo del «fiscal drag». Di fatto, i lavoratori dipendenti del ceto medio hanno sostenuto l’equilibrio dei conti pubblici, senza che il Governo abbia mosso un dito. L’economista Marco Leonardi ha stimato in 25 miliardi di euro questo impatto. Se in questo Paese ci fosse un sindacato forte, unito, autonomo, non avrebbe nulla da dire su questa cosa? Non griderebbe allo scandalo? Invece, tutto tace”.

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