sabato, 15 febbraio 2025
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II Domenica del Tempo ordinario: Un Dio che genera festa

L’acqua in vino, il “miracolo” della trasformazione della nostra vita

E’un’autentica festa di nozze quella in cui, secondo il quarto Vangelo, Gesù inizia a compiere la sua missione: mostrare il volto di Dio che lui ha intuito. Inizia con un’azione che provoca gioia di vivere: una festa di nozze senza vino, che festa è? Procura il vino migliore, quello che fa fare bella figura allo sposo, e in quantità spropositata – dai 480 ai 720 litri! – e dà a quella festa il sapore di vita nuova.

“Cosa tra me e te, donna?”. Ed è grazie al rapporto con sua madre che tutto questo accade. L’osservazione di Maria rispetto al vino che manca non è: «non hanno più vino», ovvero l’hanno terminato, quanto piuttosto: «non hanno vino», manca cioè il «vino buono», quello che davvero da’ gusto ai giorni e rende possibile una festa che celebri la vita e la sua fecondità. Non è una richiesta, quella di Maria, eppure risveglia in Gesù una reazione profonda che gli fa chiedere letteralmente: «Cosa tra me e te, donna?», “Cosa muove nella profondità di me questo rapporto fra me e te?”. Forse Gesù avverte in lontananza un’«ora» in cui si compirà quello che lui qui accetterà di iniziare, un dono di vita che lo porterà sulla croce, con Maria ancora una volta presente, ma in silenzio. Nel quarto vangelo la «madre di Gesù» compare solo in questi due episodi: all’inizio e alla fine della missione di suo figlio. Quasi a ricordare la necessità di un parto, nella difficoltà di rispondere a un cammino che pubblicamente si avvia, ovvero il travaglio dell’inizio - «non è ancora giunta la mia ora» -, fino all’ancora più impegnativo travaglio di Pasqua.

Maria, donna di profezia. Per sé, Maria in quelle nozze non ha un ruolo che giustifichi il suo intervento. Viene quindi da chiederci: quale compito l’evangelista / la comunità cristiana le riconosce nel rapporto con il figlio Gesù e con la comunità stessa? Intuiamo una relazione di confidenza grande, che “custodisce nel cuore” quanto va accadendo (Lc 2,19.51), e le permette di cogliere il “tempo di Dio”, la sua «ora» lì dove avverte che qualcosa manca, e a renderla consapevole. E’ il compito del profeta, che chiama ad agire “secondo Dio”. Apre al figlio la possibilità di interrogarsi, sa “avviare il processo” lasciandogli con profonda fiducia tutta la libertà (e la responsabilità) di intervenire: se lui avesse detto ai servi “non fate nulla”, nulla sarebbe accaduto...

E, invece, si compie una trasformazione, l’acqua «per la purificazione» diventa «vino buono» per la festa, sovrabbondante. E’ trasformazione di tutto il modo di vivere la relazione con Dio. E solo i servi, che fidandosi di lei e di lui hanno fatto la fatica dapprima incomprensibile di riempire d’acqua «fino all’orlo» le sei anfore enormi, comprenderanno quanto è accaduto. Insieme ai discepoli, che da quell’evento «credettero in lui» (v. 11).

Continuare a riempire d’acqua le nostre anfore. A noi, a ciascuno e a ciascuna, e alla nostra comunità, nell’eucaristia che celebriamo è oggi «manifestata la sua gloria», perché possiamo a nostra volta «credere in lui». Qui e ora ci è annunciato che Gesù inizia il cammino di manifestazione del volto di Dio come “Dio-salva” salvando in maniera fin sovrabbondante una festa di nozze. Qui e ora viene condiviso un pane, un vino che vogliono ridonare gioia e fecondità alla nostra vita. Il contenuto delle «sei anfore» utilizzato per «purificare», simbolo della nostra incompiutezza, viene trasformato in compimento di una vita feconda da condividere con tutti. Quanto ci viene chiesto è continuare a riempire quelle anfore «fino all’orlo», magari brontolando per un lavoro che ci sembra spossante, ripetitivo e in fondo ben poco efficace, fino all’inutilità. Ci viene chiesto di fidarci di «fare quel che lui ci dice»: continuare a celebrare l’eucaristia e la riconciliazione, a farci prossimi di chi incontriamo «mezzo morto» sulla nostra via, insistere a coltivare e custodire ogni seme di bene seminato nella terra spesso inospitale della nostra vita e del mondo, continuare con tenacia a sperare e a pregare perché il suo Regno venga a compiersi nel fragile e spesso desolante corso della storia...

Il “miracolo” di una fedeltà tenace. E se talvolta - o spesso? - avvertiamo che il nostro celebrare è “ritualità d’acqua”, e “manca di vino”, siamo chiamati ancora a rinnovare la nostra fragile fiducia in lui, che con tenacia e fedeltà continua a trasformare quell’acqua in vino e vita nuovi. Siamo chiamati a testimoniare con i figli, con le generazioni più giovani, una fedeltà nell’impegno quotidiano compiuto con intelligenza e creatività, personalmente e insieme. Sarà questo il nostro contributo al “miracolo” della trasformazione della nostra e dell’altrui vita, la trasformazione che lui continua a compiere in chiunque accetti la fatica dell’acqua da portare. E, allora, anche la nostra comunità diventerà occasione in cui sperimentare la sorpresa e la gioia di una festa che trasforma la vita di ciascuno in vita degna di essere vissuta e condivisa, da tutti e con tutti.

Ringrazio il gruppo donne “Casa di Betania” per il prezioso contributo nell’ascolto di questo testo dentro la vita nostra e delle nostre comunità.

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