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XIX Domenica del Tempo ordinario: La responsabilità di condividere un dono

Scelgo come filo conduttore, del testo che ci troviamo ad ascoltare in questa domenica, il tema della responsabilità e della fiducia.
Un dono che libera
Fin dal primo versetto vi è una chiamata a “non temere”, a non preoccuparsi, ed è fondata su una promessa, anzi, su una scelta che Dio ha già fatto: ha donato il suo Regno a coloro che accolgono quanto Gesù va loro dicendo. È offerto a tutti a tutte, con “bontà”, con larghezza di dono (“è piaciuto” a lui, Lc 12,32). È la risposta al desiderio profondo che abita il cuore di ogni uomo e donna, desiderio di una vita che sia degna di essere vissuta, in pienezza. Questo dono elargito in abbondanza dal Padre a tutti i suoi figli e figlie, vuole da un lato liberare da preoccupazioni e angosce che nascono dal rischio di trovarsi senza il necessario. Dall’altro, vuole renderli capaci di vivere con la sua stessa generosità: “Invece di vietare l’arricchimento, Luca impone la prodigalità (...): il Cristo lucano esige la (con)divisione e non la povertà” (Bovon).
È la percezione che il Padre non lascerà cadere la vita dei suoi figli e figlie a rendere possibile la “prodigalità” nella condivisione dei beni. Prender coscienza di questo dono genera non una ingenuità superficiale e fatalistica che “aspetta la manna dal cielo”, ma l’assunzione di responsabilità che nasce dalla consapevolezza di quanto non solo ci è donato, ma anche affidato alla nostra cura.
Una responsabilità tra fiducia e speranza
In questa “scelta responsabile”, il testo invita a “rimanere desti” liberando dall’ansia di un ritorno imprevisto del ladro rapinatore, e aprendo alla speranza di un incontro atteso e desiderato. Gli accenni alla notte di Pasqua - i “fianchi cinti”, le “lucerne attese” - evocano un’esperienza di liberazione, non di giudizio: i servi e l’amministratore abitano una casa di famiglia, non un ambiente di schiavitù.
La fedeltà del servo non sta nel vivere e agire fondato su un volontarismo ansiogeno, né su una appropriazione indebita di ciò che ci è donato/affidato, sia che si tratti del lavoro che intesse il vivere quotidiano (12,37-38), sia che si tratti del compito di aver cura di una comunità (12,42-44). Sta, invece, nella logica di una fiducia che ricambia quella di chi per primo si è fidato di noi: il tratto della responsabilità è avvertito come condizione necessaria per attendere con speranza e con gioia “colui che viene” a dar compimento pieno alla nostra esistenza. Venisse pure nel pieno della notte, di qualsiasi tenebra si tratti, di sofferenza, solitudine, smarrimento, oppressione... lui saprà mettersi al nostro servizio, al servizio della nostra vita (12,37), e ci renderà ancora una volta capaci di ritrovare speranza e tenacia nel coltivare e custodire e condividere tutto il bene che ci è donato, tutto il bene che ci è “affidato di fare”.
L’incontro desiderato
La consapevolezza della responsabilità, che aumenta l’esigenza di una risposta, a seconda dell’incarico assegnato, dovrebbe allora rimandarci all’essenziale. Ovvero, alla relazione fiduciosa con lui, il Signore Gesù, colui che viene a salvarci, fin nel pieno della notte e di ogni tenebra, colui che desidera l’incontro con noi ancor più di quanto noi desideriamo di vivere in pienezza e serenità. Ancor più del nostro desiderio, è grande il desiderio del Padre di donarci la presenza del Signore Gesù come salvezza di tutto il bene sempre fragile che sperimentiamo nella nostra vita.
Responsabilità di una con-divisione di speranza e di vita
Recuperare nelle nostre esperienze personali e comunitarie questa dimensione di attesa piena di fiduciosa speranza perché abbiamo riconosciuto, nell’oggi che Dio ci dona, una presenza di bene, potrebbe ridare respiro alla “piccolezza”, sia in termini numerici che di efficacia, del nostro ritrovarci. Ma ancor più può renderci consapevoli di coloro che sperimentano tenebre più profonde e angosciose, nelle quali il male si manifesta con atroce efficienza e distrugge ogni attesa di bene. Nelle guerre e negli stermini, in una economia che uccide con suprema indifferenza, in condanne a marginalità e solitudini senza consolazione... siamo chiamati a ritrovare ancor più responsabilità di com-passione e di con-divisione. Andando oltre la preoccupazione ossessiva per il “mio”, quella sì angosciante, per rispondere alla chiamata al “nostro” da condividere giorno per giorno: costruzione condivisa di un Regno di Dio continuamente offerto al desiderio di vita di tutta l’umanità, dell’intero creato.