Come sempre, per l’occasione, la “Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia...
XXVII Domenica del Tempo ordinario: un sogno di vita, un cuore indurito
Un sogno, quello di Dio, originario, e una “durezza di cuore” che sembra una caratteristica strutturale di noi uomini e donne... E, nel frammezzo, le relazioni fondamentali a generare vita, quelle tra uomo e donna. E coloro che da queste relazioni nascono, i bambini, i quali, per crescere nel miglior modo possibile, avrebbero bisogno, fra l’altro, di un contesto di relazioni stabili, una famiglia di nome e di fatto, capace di reggere nei momenti di fatica e di crisi, capace di cuori di carne, non induriti.
Una provocazione per un cuore che si indurisce
Gesù è provocato da una domanda che vuol “metterlo alla prova”: gli si chiede che cosa ne pensi circa il “diritto al divorzio” dell’uomo rispetto alla propria moglie. Gesù li rimanda alla “legge di Mosè”, che lui non identifica immediatamente con la “legge di Dio”. E provoca a sua volta gli interlocutori: ciò che critica, più che l’istituzione di un “atto di ripudio”, è la “durezza del cuore”. Lo fa in riferimento al “sogno di Dio”, quello originario (Gen 3,24), nel quale non solo l’uomo non ripudia la moglie, ma sarà lui stesso a “lasciare suo padre e sua madre” per unirsi a lei costituendo “una sola carne”, un solo essere, “una carne nuova”. Affermazione controcorrente rispetto a quel che di fatto capitava, cioè l’inserimento della donna nella gerarchia della famiglia del marito, sottomessa al pater e alla mater familias di turno. Poi, con i discepoli, è molto chiaro, e chiama in causa sia l’uomo sia la donna, riconoscendo che la “durezza di cuore” irrigidisce entrambi, e rovina relazioni fino a tradire l’impegno originario.
Ascoltare le sofferenze di chi è stato ferito
Io, che sposato non sono, non ho sperimentato come si “indurisca” il cuore nella relazione più intima che si può immaginare tra due persone adulte. Dall’ascolto di chi questo lo ha vissuto, posso comprendere come tante siano le possibili occasioni: questione di incuria, di non aver avuto sufficiente attenzione e creatività nel “coltivare e custodire” il cuore e la relazione, oppure essersi trovati senza difese alla mercé dell’altro, dell’altra, aver ricevuto e inferto ferite, o ancora aver lasciato che prima noia e poi indifferenza rinsecchissero il rapporto, fino ad oscurare il volto dell’altro o dell’altra, fino a rendere sterile l’incontro. Talvolta per l’intervento di altri, di altre, talvolta per tante scelte o non-scelte più o meno reciproche. Io credo che, prima di indurire a nostra volta il nostro cuore in giudizi inappellabili, dovremmo ascoltare con attenzione le storie di chi questi indurimenti li ha patiti, da parte del compagno o della compagna con cui ci si era scelti per la vita... Dovremmo lasciarci “mordere le viscere” da queste sofferenze, talvolta reciproche, e diventare più disponibili, come cristiani, a cercare, insieme con costoro, cammini possibili, perché il cuore possa guarire da situazioni in cui l’altro o l’altra non è più “l’aiuto che ci è simile” (vedi Gen 2,18), ma è diventato l’estraneo o l’estranea, il nemico o la nemica che ci rovina... A costruire scelte per non farsi sopraffare (per non farsi “assassinare”...) da situazioni in cui il sogno di amarsi, di volere il bene dell’altro o dell’altra, se pur c’era, si è trasformato in inferno di odio... Innanzitutto, per prevenire l’«indurimento del cuore» avendo cura, giorno per giorno, delle relazioni, perché se il cuore si è indurito, sarà molto più difficile “reggere” in situazioni di conflitto.
Creare insieme vie di guarigione
Quali vie per ricostruire vite, anche attraverso incontri altri e relazioni nuove, in cui riconoscere presente inaspettatamente lo Spirito Santo, colui che mai abbandona, colui che continua a generare vita? Vie a caro prezzo, non pretesti facili per il proprio egocentrismo, per il proprio indurimento... E, magari, inventare insieme modi per cui quell’adulterio a cui ci si espone, spezzando un legame divenuto mortifero, possa trasformarsi in percorsi di guarigione, in cui germini di nuovo il sogno di Dio. In Amoris Laetitiae sono stati proposti in tal senso ragionamenti e percorsi possibili, tenendo conto che quelli che chiedono di riprendere una vita ecclesiale, fino a condividere nuovamente il pane eucaristico, sono di solito coloro che più sono stati feriti, e più riconoscono la capacità di guarigione che la misericordia di Dio può offrire... Chiediamo insieme allo Spirito che custodisca in noi il cuore di carne, e se si è indurito lo restituisca alla sua sensibilità; chiediamo, anche come comunità ecclesiale, di ascoltare con impegno chi maggiormente patisce tutto ciò che crea divisione e separazione, a partire dai più “piccoli”... e che da questi ascolti si generino vie di accompagnamento e di misericordia capaci di far germinare nuova vita. Ne abbiamo bisogno tutti, “piccoli” e “grandi”, per convertirci di giorno in giorno a quella via di umanità che Dio non cessa di sognare e rigenerare, e ognuno e ognuna, in profondo, continua a desiderare.