Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Dai salmi alla trap: un grido per dare voce a chi non la ha

Dal grido muto al canto ritrovato, dai Salmi alla musica trap, per dare voce a chi non la ha, ai giovani, alle periferie, fino alle persone detenute in carcere, per raccontare dolore, solitudini e violenza. Questo il senso dell’evento del festival Biblico “Mi risveglio e sono ancora con te (Sal 139, 18). Dal grido muto al canto ritrovato”, andato in scena nella mattinata del 16 maggio.
Si è trattato di un dialogo tra sei classi della scuola superiore Riccati-Luzzatti di Treviso, accompagnati dalla professoressa Giovanna Azzola, che ha anche presentato l’evento; il collettivo artistico Plurale, composto da Chiara Ventura e Leonardo Avesani, che ha proposto il proprio progetto di analisi e studio della musica trap, insieme al curatore d’arte Alessio Vigni; la cappellania penitenziaria della Diocesi, rappresentata dal cappellano della casa circondariale di Treviso, don Pietro Zardo, da Marcello Daniotti di Caritas Tarvisina e da Graziella Venturato, cooperatrice pastorale diocesana e, infine, don Andrea Dal Cin, biblista della Diocesi di Vittorio Veneto. Ospite speciale un detenuto condannato all’ergastolo, che oggi, in semilibertà, lavora come pasticciere e ha raccontato la propria storia, cambiata quando qualcuno ha finalmente ascoltato il suo silenzioso grido di aiuto. Così, in questo incontro, il libro dei Salmi viene avvicinato come testo che racconta i nostri vissuti, anche controversi e attraversati da diverse sfaccettature: “Dai Salmi imprecatori o di oppressione – ha raccontato Azzola – può nascere un grido disperato di aiuto”. Da qui, l’idea di affrontare con gli studenti il tema della violenza giovanile e di coinvolgere la realtà del carcere di Treviso, come luogo a cui porta la violenza e dove la voce di chi entra diventa muta.
D’altra parte, la violenza, il dolore e la marginalità sono cantati oggi dalla musica trap, genere ormai di larghissima diffusione tra i ragazzi, ma allo stesso tempo stigmatizzato soprattutto dalle generazioni precedenti, che ne condannano i testi carichi di odio. E proprio da qui parte la ricerca artistica del collettivo Plurale, che chiarisce: “È una musica che dà voce a una condizione giovanile che prima non aveva voce, racconta la marginalità, contesti sociali complessi dove la rabbia sfocia in violenza. Ma questi giovanissimi vengono derisi ed etichettati, derubati della loro complessità. Noi cerchiamo, con i nostri progetti, di veicolare messaggi di empatia e di liberazione dei corpi, lontanissimi dai concetti legati alla violenza di genere e al patriarcato, ma ci piace la trap, e allora abbiamo provato a studiare il fenomeno, a cercare di capire”. Ne è nato un progetto artistico e un libro dal titolo “Snitch, dentro la trap”: “A coinvolgerci sono le melodie, i ritmi, le energie, più che le parole”, ma, oltretutto, “la responsabilità dei comportamenti violenti sempre più diffusi oggi non è imputabile alla trap, questa musica è solo la rappresentazione di uno spaccato di realtà, esprime il contesto in cui viviamo, è la nostra società il problema, non la musica, che rappresenta un grido di aiuto disperato”, chiariscono dal collettivo.
Alle loro parole fanno eco quelle di solitudine e sofferenza di un detenuto, “trappate” da alcune studentesse del Riccati-Luzzatti: “Ricorda chi c’è lì fuori/Per cosa davvero combatti e ci muori/Per tutti quei momenti bui/Dove non c’erano i tuoi/Dove vedi solo avvoltoi/Cadere tra il cielo tra noi/Per andare lontano da casa, avevo le mie ragioni...”.
Sulla situazione in carcere è, poi, intervenuto don Pietro Zardo: “Parliamo di persone invisibili, nascoste, lontane dai riflettori e anzi avvolte nell’oscurità, che copre giornate, mesi, anni di vita, tutta trascorsa in un apparente silenzio e, oltretutto, in una ristrettissima cella, un luogo di costrizione, sovraffollato, in cui convivono diverse età, provenienze, culture, mentalità e anche reati”. È a queste voci dimenticate che don Pietro e gli altri della cappellania penitenziaria provano a dare speranza.
E, così, arriva la storia di violenza e di trasformazione di un detenuto, da 31 anni in carcere, con una condanna all’ergastolo, una storia, di rabbia, violenza, vendetta, che si trasforma in ascolto, comprensione, aiuto, perdono e avvicinamento alla fede, un percorso di cambiamento che ha portato a scegliere oggi una vita di lavoro e bene per gli altri.
È stata anche esposta l’opera di una persona detenuta, con le parole pronunciate dal papa Francesco, nel 2021, rivolgendosi ad alcuni reclusi: “Si sbaglia, ma non si deve restare sbagliati”. Hanno concluso l’incontro gli studenti, con le loro riflessioni sui Salmi trasformate in musica trap. Ha dialogato con loro don Andrea Dal Cin che ha spiegato il significato di alcune delle parole dei Salmi, come grido, una voce che rompe il silenzio, rete, volta al male o a costruire il bene, cambiamento, per tornare sui propri passi, e, poi, paura, sangue, la sede della vita, amore e perdono.