Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Il Giubileo da dentro il carcere

Il 2025 è l’anno del Giubileo, voluto da papa Francesco come Giubileo della “speranza che non delude”.
Un anno speciale di grazia, un tempo favorevole per rimettere al centro il Vangelo e per vivere un’esistenza riconciliata e rinnovata. È un impegno esigente, ma possibile, se vissuto nel solco della fiducia e dell’ascolto.
Non a parole soltanto, ma con gesti concreti di liberazione, di ascolto, che siano autentiche fonti di speranza, appunto.
Per questo, nella Casa circondariale di Treviso, il cappellano, gli altri membri della cappellania e i volontari di Comunione e liberazione e della Prima pietra hanno ritenuto importante non lasciare che questo tempo passasse invano. Hanno proposto ai detenuti disponibili al confronto un’occasione di riflessione comune su cosa possa significare vivere un Giubileo dentro le mura del carcere, e come ciascuno, a partire dalla propria condizione, possa mettersi in cammino verso una conversione possibile.
Il percorso si è sviluppato a partire da alcune domande semplici e profonde: cosa significa per noi, oggi, metterci in ascolto dello Spirito? Qual è il “lieto annuncio” che ci è rivolto? Cosa vuol dire, davvero, essere liberi? A queste si sono aggiunte parole-chiave da meditare personalmente: libertà, opportunità, fiducia, coraggio, cambiamento.
Ne è nata una lettera scritta dalla “Chiesa che vive in carcere”, alla Chiesa diocesana tutta: un messaggio autentico, maturato nel silenzio e nella riflessione, che racconta il cammino personale di tanti uomini che desiderano ricominciare. Non chiede sconti, ma ascolto. Non pretende risposte facili, ma condivisione. È un invito a superare il pregiudizio, a riconoscere che la fede può germogliare ovunque, anche nei luoghi e nelle situazioni meno attese, quando si apre lo spazio per il cambiamento.
Per questo, viene offerto alla “Chiesa tutta che è in Treviso”, nel giorno in cui celebriamo l’unico “Corpo del Signore”: un appello a riconoscerci parte di un’unica Chiesa, capace di accogliere ogni cammino sincero e ogni ricerca di bene. Perché la speranza non ha confini, e il Giubileo può essere per tutti un tempo favorevole, un’occasione concreta per lasciarsi toccare dalla grazia e ripartire.
(don Piero Zardo, cappellano della casa circondariale di Treviso, don Bruno Baratto, direttore Caritas Tarvisina)
Quest’anno tutti stiamo vivendo un tempo molto speciale: il Giubileo della Speranza. Noi detenuti ci siamo interrogati su che cosa voglia dire vivere questo tempo. Su che cosa significhi sperare per noi che abbiamo le vite segnate da reati e che ora viviamo la detenzione. C’è molta sofferenza nel mondo, così segnato dalla guerra e dal male, attorno a noi e in noi. Di fronte alla sofferenza che vediamo, che viviamo e che anche noi abbiamo provocato, è difficile dire che questo è un tempo speciale. Eppure, tutta la Chiesa ci annuncia questo. Lo ha fatto papa Francesco e ora lo fa papa Leone. Che cosa ha da dirci Dio, in questo tempo? Che cosa vuol dire mettersi in ascolto dello Spirito in questo tempo? A noi sembra, anzitutto, che stare in ascolto dello Spirito possa significare capire maggiormente tante cose, ed è l’occasione per prendere coscienza degli errori e del male che abbiamo commesso. Forse l’annuncio che lo Spirito porta è per una consapevolezza più profonda della nostra storia passata e di ciò che viviamo ora, quasi una revisione della propria vita.
Per ascoltare, occorre fermarsi e dare spazio a ciò che ci raggiunge. Mettersi in ascolto è difficile, perché emergono subito pensieri contrastanti. E sono molti i pensieri contrastanti che sembrano togliere speranza! Ma questo ascolto serve, perché aiuta a dare il nome alle cose negative e dare il nome alle cose negative è iniziare a essere liberi. Ci vuole tempo, è un cammino lungo, ma forse è per questo che serve un tempo speciale. Per iniziare, almeno con un primo passo.
Sentiamo molto unite queste tre parole: ascolto-attenzione-speranza.
Oltre a questo, ci sembra ancora più importante il fatto che ascoltare lo Spirito non significhi solo capire chi siamo, ma poter capire chi è Cristo. Dicendo questo pensiamo alla figura del centurione romano sotto la croce, che vedendo come Gesù è morto, Lo riconosce e afferma: “Costui era veramente il Figlio di Dio.” In questo tempo speciale il nostro desiderio è che possa accaderci quello che è accaduto al centurione.
Con questa immagine negli occhi vogliamo ascoltare anzitutto la sua Parola, capace di rendere migliore la nostra vita e liberarci dal male che ci circonda.
Un grande popolo
La morte di papa Francesco, che abbiamo sentito tanto vicino a noi, fino ai suoi ultimi giorni, e l’elezione del nuovo papa Leone XIV, ci hanno mostrato quanto è grande il popolo della Chiesa. Ci sentiamo anche noi parte di questo popolo.
Perciò, sentiamo che questo tempo speciale è l’occasione per rivolgerci come piccola Chiesa che è nel carcere alla grande Chiesa della diocesi di Treviso, perché cresca sempre più la comunione e l’unità tra noi. Sentiamo la speranza anche come l’apertura di una porta tra noi e voi, il superare quei muri di indifferenza, pregiudizio e paura che ci possono essere. Vorremmo così tanto che il popolo di cui ci sentiamo parte sapesse che dietro al muro del carcere ci siamo anche noi, la piccola Chiesa in carcere, che è in un cammino di consapevolezza e responsabilità, che parte dal pentimento e prova a rinascere e ricostruire esistenze.
Con umiltà, ci rivolgiamo a voi, sorelle e fratelli della diocesi: che sia questo tempo un tempo speciale anche per aprire una porta, superare un muro, cercando di capire le vite altrui, liberi da pregiudizi, così che ci sia concretamente qualcuno capace di vedere l’uomo oltre il suo errore.
Essere liberi
Con voi vogliamo condividere quanto ci sta più a cuore: il desiderio di essere liberi. Noi carcerati diciamo che la libertà non ha prezzo e ne sentiamo tanto la mancanza perché, come pena per i reati che abbiamo compiuto, ne siamo privati o limitati.
Ma “libertà” è una parola impegnativa, è un concetto più ampio: percepiamo che essere liberi è innanzitutto vivere bene con se stessi, poter e saper cambiare, essere perdonati. La libertà è un bene ricercato anche da chi è fuori dal carcere, perché molte sono le forme di prigionia in cui le persone si trovano rinchiuse.
Insieme a voi, in questa Pentecoste del Giubileo, vorremmo chiedere a Dio il dono della libertà che nasce dal credere in Lui, il solo capace di cambiare le nostre vite e spezzare le catene.
Misericordia che muove
Sappiamo che questa è una decisione e una preghiera che deve partire dal profondo del nostro cuore, un passo che spetta a ciascuno di noi, e spesso la nostra fragilità ci fa dubitare che il cambiamento sia possibile e che lo vogliamo davvero. Un’altra figura ci ritorna alla mente: il buon ladrone che dopo una vita disastrosa riceve lo sguardo misericordioso di Gesù proprio sulla croce accanto a Lui.
Preghiamo insieme, affinché questo Sguardo non ci abbandoni mai, e perché possiamo sentire e accogliere che in Dio nessuna vita è perduta, che ai Suoi occhi siamo tutti importanti e che Lui ci ama senza condizioni. È sotto la forza di questa misericordia ricevuta che inizia il cammino del pentimento e anche del desiderio di riparare.
Un passo insieme
Per questo Giubileo papa Francesco ci ha invitato ad essere “pellegrini di speranza”. È bello che il Giubileo sia indicato come un corpo in movimento che compie alcuni passi. Noi sentiamo che abbiamo bisogno anche di voi per vivere questo pellegrinaggio della speranza.
Riceviamo già un grande aiuto dalla presenza di alcuni volontari dentro il carcere, ma bussiamo anche al vostro cuore. Lo facciamo per mettere nelle vostre mani la possibilità di donare un aiuto concreto di accoglienza e disponibilità verso coloro tra di noi che, in permesso di uscita o terminata la detenzione, si ritrovano senza un luogo dove risiedere o con relazioni assai fragili. C’è urgenza di luoghi dove poter essere accolti, ascoltati e aiutati in un percorso di un vero reinserimento nella società.
Non chiediamo di correre assieme, ma di fare un primo passo, anche lento, ma concreto per essere insieme pellegrini di speranza. Vediamo infatti che due sono le facce della speranza: è fiducia in ciò che un altro compie, ma vive anche del donare quanto si è ricevuto. La speranza esiste se io la dono all’altro.
Sappiamo che mettersi in gioco è un rischio, ma con umiltà vi diciamo che abbiamo bisogno di essere visti e accolti. Così da essere sostenuti anche noi nel poter accogliere noi stessi e il nostro vissuto e affidarlo al Signore, insieme. Vi sentiamo sorelle e fratelli tutti.
(Alcuni detenuti della casa circondariale di Treviso)