Di per sé, l’idea di una “conversione missionaria” della parrocchia non è una novità, perché essa agita...
STORIE DI SPERANZA 10: Ora inclusi nella società
Maria Grazia Lava ha fondato nel 2014 la sezione Marca Trevigiana di Aipd, l’associazione italiana delle persone con sindrome di Down, insieme ad altri genitori di ragazzi che hanno questa sindrome. Michele, il primo dei suoi tre figli, è nato nel 1990 e da allora ha fatto parecchia strada: a marzo ha visto un vero e proprio coronamento di un sogno. Ma partiamo dall’inizio.
Oggi si può verificare già in gravidanza se il figlio che nascerà ha la sindrome di Down. Come funzionava, invece, nel 1990?
Quando aspetti il tuo primo figlio hai un sacco di aspettative, e, all’epoca, molte meno certezze. Io ho avuto un parto difficile, Michele era podalico e quando è nato era in sofferenza: aveva poche probabilità di sopravvivere, e, invece, dopo un mese e mezzo di ricovero, ce l’ha fatta. È nato il giorno di Natale, ma sono passati mesi – era la vigilia di Pasqua – prima che avessi, per telefono, la conferma del test della sindrome di Down. Nel frattempo, da genitore, ti accorgi che è diverso, anche la pedagogista era già arrivata a questa conclusione, e, nell’attesa dei risultati, eravamo molto scoraggiati: per questo, non ci sono foto di Michele nei primi tre/quattro mesi di vita. Poi, una notte, mentre lo cullavo per farlo addormentare, mi sono detta che se il Signore ha voluto che sopravvivesse a tutto questo, un motivo c’era.
E da quel momento com’è stata la vostra vita?
Da lì siamo partiti con tutto quello che si poteva fare. Ha fatto tre anni di asilo alla Nostra famiglia, poi, materna ed elementari pubbliche del paese, e sono andate bene. Il problema sono state le medie, dove non c’era un vero e proprio percorso differenziato per lui, quindi ha perso capacità, sia di scrittura che di lettura. Non mi sono arresa, perché con e per Michele ho trovato una grande forza. Così, ho scoperto un insegnante con un metodo per insegnargli di nuovo a leggere e scrivere, e in un’estate ha recuperato tutto. In tanti mi hanno sconsigliato di farlo proseguire negli studi, mi dicevano che non poteva farcela, ancora meno poteva imparare a prendere da solo la corriera per andare alle superiori; tramite l’Ulss, invece, ho trovato un percorso ad hoc per insegnarglielo e da allora lui è sempre stato autonomo. L’abbiamo iscritto all’alberghiero, dal quale si è diplomato a 21 anni. A me non interessava il diploma, ma finché stava a scuola era protetto e stimolato, ma per i professori delle medie ero pazza a pensare che potesse concludere le superiori. Io ci ho creduto e lui è riuscito a farlo.
Una bella rivincita! Adesso invece è normale che proseguano negli studi?
Adesso sì, ma all’epoca (parliamo soltanto di una quindicina di anni fa) non era normale che i ragazzi Down andassero alle superiori, e ancora prima andavano a mala pena alle elementari. Forse è cambiata la società, ma sono cambiati anche i genitori, hanno una speranza diversa e pensano che possano esserci forme di inserimento e di inclusione. Quello che facciamo con Aipd è proprio questo, dimostrare che sanno fare e possono imparare anche tante cose, non solo a fare i camerieri (su cui si è puntato molto perché sembra una cosa semplice): infatti, abbiamo ragazzi che lavorano in supermercati e in negozi. Non tutti ci riescono, dipende dalla gravità, però se stimolati e affiancati dalle giuste persone possono essere inseriti e possono riuscire in quello che fanno.
Michele oggi ha 34 anni, com’è la sua vita?
Finita la scuola abbiamo provato con qualche inserimento lavorativo con il Sil (Servizio integrazione lavorativa dell’Ulss, ndr), finché non gli hanno trovato un posto nella cucina dell’ospedale di Conegliano. Ci sono state molte difficoltà, ma lui ha imparato a fare il suo lavoro e sa muoversi benissimo tra i reparti dell’ospedale. Nemmeno io l’avrei immaginato. Ha trovato persone giuste che hanno saputo insegnargli nel modo giusto. È lì da dieci anni, va in corriera da solo, lo scorso marzo l’hanno assunto attraverso la legge 68. Come genitori, avevamo la speranza che potesse trovare il suo piccolo posto nel mondo, e così è stato. In più fa nuoto e sta seguendo un corso di musica. La cosa difficile per i nostri ragazzi, però, è crearsi un gruppetto di amici, per questo è importante la nostra associazione.
Qual è la sua speranza più grande per il futuro?
Che i nostri ragazzi siano sempre di più inseriti e inclusi nella scuola, nel mondo del lavoro e nella quotidianità, che la loro vita sia serena e soprattutto dignitosa.