martedì, 15 luglio 2025
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Ospedale San Camillo: Gino Gumirato rassicura dipendenti e popolazione

Il manager chiamato per risanare i conti della struttura, accreditata e convenzionata con il Sistema sanitario regionale, presenta il piano strategico per dare continuità

L’ultima notizia apparsa sui giornali questa settimana è relativa all’incontro urgente chiesto dai sindacati con i vertici aziendali dell’ospedale San Camillo di Treviso, per avere risposte sullo stato economico e finanziario della struttura, e garanzie per chi ci lavora. La struttura, che è accreditata e convenzionata con il Servizio sanitario regionale del Veneto, è gestita dall’Istituto religioso Figlie di San Camillo e conta circa 240 lavoratori. Inoltre, l’onorevole Rachele Scarpa, deputata del Pd, ha annunciato la presentazione di un’interrogazione parlamentare al Ministro della Salute.

La crisi, però, è emersa qualche mese fa: nei primi giorni di maggio, ai dipendenti del polo sanitario del San Camillo, era stato comunicato il commissariamento a causa della difficile situazione finanziaria. La scelta di chi dovrà dirigere l’ospedale, è ricaduta su Gino Gumirato, ex dg dell'Ulss di Mirano, padovano di Camposampiero, chiamato a tentare di far quadrare i conti e risanare un buco che ammonterebbe, sempre secondo quanto emerso dalla stampa, a diversi milioni di euro, nonostante che l’Ulss 2 Marca Trevigiana abbia garantito un finanziamento annuo vicino ai 20 milioni di euro, per le prestazioni in convenzione.

Per cercare di capire quali sono le prospettive per l’importante struttura ospedaliera di viale Vittorio Veneto, abbiamo rivolto alcune domande al manager Gino Gumirato.

La situazione dell’ospedale San Camillo, che emerge dalla stampa, preoccupa sia il fronte dei lavoratori che quello della popolazione, che ha sempre considerato questo nosocomio una sede fondamentale per le proprie cure. Cosa ci può dire al riguardo?

Corrisponde al vero che l’Istituto, visto nel suo complesso, abbia delle difficoltà economiche, ma non corrisponde in nessun modo al vero che vi siano problemi per i lavoratori e, anche e soprattutto, per i servizi alla popolazione. Abbiamo in più occasioni comunicato, del tutto trasparentemente, che in prima istanza stiamo esperendo un tentativo di cessione di alcuni immobili con la formula del lease-back, che come sappiamo consente l’assoluta continuità delle attività sanitarie da erogare. Si ottengono subito i denari che servono, l’ospedale continua a lavorare pagando un affitto, alla fine del periodo, si ritorna proprietari degli immobili. Un modello che potrebbe ben funzionare come già visto in casi analoghi. Con molto dispiacere, prendiamo atto di un certo attivismo giornalistico, a volte dettato anche da “salvatori della Patria” che ci sembrano fuori luogo, al limite dell’opportunismo.

Si è capito come si è arrivati a questa situazione?

La sanità pubblica e privata sono in forte sofferenza, sia per motivi esogeni che endogeni; alcuni elementi di sistema, come tariffe vecchie di decenni, iper regolamentazione, polverizzazione delle sedi di erogazione, iper specializzazione dei percorsi diagnostico terapeutici ecc., certamente, non facilitano la vita agli erogatori della sanità in regime di accreditamento e, nel nostro caso, degli erogatori con ispirazione cattolica. Poi, ci sono gli elementi endogeni, come le difficoltà manageriali, l’insufficienza dei sistemi di pianificazione, programmazione e controllo, la residualità della componente privatistica, la scarsa propensione all’innovazione, che contribuiscono ad appesantire la vita degli Istituti, che in definitiva non riescono a superare le difficoltà di rimanere elementi attivi e competitivi del territorio.

Su quali piste, dunque, si sta lavorando?

Abbiamo già detto che stiamo testando il mercato su una operazione di lease-back immobiliare, che garantirebbe, come detto, totale continuità di lavoro e “nessun effetto collaterale”. Ma stiamo soprattutto predisponendo un Piano strategico con l’obiettivo di ridefinire la vision dell’ospedale, così come la vision di tutti gli ospedali dell’Istituto. Significa chiedersi chi vogliamo essere nell’anno 2030: significa indicare chiaramente quali obiettivi di salute, quali servizi, quali modelli di erogazione delle prestazioni, quale livello di innovazione e competitività l’ospedale (gli ospedali) debba avere nei prossimi cinque anni e nel futuro: è questo che va fatto prioritariamente. Il continuare a fare quello che abbiamo sempre fatto è l’unico modo per perire certamente. L’ospedale di Treviso ha potenzialità enormi in termini di spazi, di eterogeneità dei servizi, di competenze da mettere in campo, potenzialità a, oggi certamente espresse in maniera del tutto insufficiente. Prima di capire “chi” guiderà l’ospedale va capito, come detto, quale modello di salute può servire all’interno di un territorio così speciale come il nord-est d’Italia e quali i valori posseduti per garantirne l’innovazione per la continuità.

Considerando l'importanza strategica dell'ospedale San Camillo di Treviso per il sistema sanitario regionale, sarà salvaguardato l’aspetto pubblico?

Se per aspetto pubblico si intende che le attività sanitarie continueranno a svolgersi in regime di accreditamento con la Regione Veneto e, dunque, con “copertura universalistica” dei cittadini, la risposta è perfino ovvia: certamente sì. Non va, però, dimenticato che tutti i sistemi sanitari al mondo si esprimono erogando sia in regime pubblico che privato contemporaneamente: in Italia, fatto 100 il costo della sanità pubblica, si aggiunge il 35,2% di sanità privata (pagata dal cittadino o dal cittadino attraverso un’assicurazione) e non è, dunque, pensabile che tutti i cittadini che accedono al nostro ospedale, qualora dovessero scegliere anche attività a pagamento, siano, di fatto, dirottati in qualsiasi e altro istituto.

Quali sono i tempi per una soluzione, ci si augura, positiva?

Noi immaginiamo sempre che di fronte a un problema ci sia una pronta e immediata, completa, assoluta, soluzione positiva: ma da un po' di tempo il mondo non funziona più così, come i drammatici fatti che accadono nel mondo sono a dimostrare. In ogni caso, entro il 31 dicembre 2025 avremo le preliminari risposte sulle ipotesi di soluzioni immobiliari e avremo un Piano strategico 2026-2030, che individuerà il percorso da intraprendere. Un percorso, appunto, non una soluzione definitiva e assoluta. Non sono in discussione i posti di lavoro, non sono in discussione gli stipendi delle persone, non sono in discussione la vocazione e il ruolo di centralità sociale e sanitaria nel territorio. Tutto il resto può essere ragionevolmente messo in discussione, se fatto per un bene comune.

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