giovedì, 25 luglio 2024
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Sanità al capolinea

Andiamo verso un sistema misto in cui il privato sopperisce alle lacune del pubblico. In Veneto si fa fatica a far quadrare i conti

Il sesto rapporto della fondazione Gimbe sul Servizio sanitario nazionale ci mette di fronte a “un sistema sanitario ormai al capolinea, che condiziona la vita quotidiana delle persone, in particolare delle fasce socio-economiche meno abbienti, a causa di interminabili tempi di attesa, affollamento dei pronto soccorso, impossibilità di trovare un medico o un pediatra di famiglia vicino casa, inaccettabili diseguaglianze regionali e locali sino alla migrazione sanitaria, aumento della spesa privata sino all’impoverimento delle famiglie e alla rinuncia alle cure”.

Per commentare il rapporto, abbiamo dialogato con alcuni esperti che ci hanno aiutato a comprendere la situazione in Veneto.

Quanto costa la sanità

Da almeno 20 anni, continua ad aumentare la cifra che i cittadini italiani spendono di tasca propria per curarsi, attestandosi oggi a circa 40 miliardi l’anno, mentre la spesa pubblica si aggira attorno ai 130 miliardi; ne consegue che un quarto della spesa totale per la sanità italiana è pagato direttamente dai privati cittadini.

Nei giorni scorsi, il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge finanziaria 2024, che deve ora essere approvato dal Parlamento, tra le misure anche un aumento dei fondi destinati alla sanità: tre miliardi per il prossimo anno, fino ad arrivare a 4,2 miliardi in più nel 2026 allo scopo di ridurre le liste di attesa. 250 milioni sono destinati alla sanità territoriale.

Tuttavia, si stima che per uscire dall’attuale impasse, la sanità italiana abbisognerebbe almeno di 10 miliardi all’anno in più per i prossimi 5 anni. Basti pensare alla necessità di adeguare gli stipendi agli standard europei e ai costi energetici sempre più elevati per mantenere strutture e ospedali. Inoltre la ricerca farmaceutica e le tecnologie progrediscono in continuazione, ma rimanere al passo costa.

Una panoramica sul Veneto

Il Veneto, per alcuni versi, ancora può vantare buoni livelli delle prestazioni sanitarie, ma le criticità non mancano.

“Il problema è che - chiarisce uno dei nostri interlocutori -, dai primi anni 2000, la sanità è stata affidata prevalentemente a tecnici, che se gli dici di tagliare, tagliano, con il risultato che ora rischiamo di andare verso un baratro. Con una delibera regionale, inoltre, nei mesi scorsi sono state bloccate le assunzioni, per puntare al pareggio di bilancio per fine anno ed evitare così il rischio commissariamento. Non è che ci sia una volontà o un percorso tracciato verso la privatizzazione della sanità, ma questa è la direzione che stiamo prendendo, non solo con la sanità privata accreditata, ma con tutti i centri medici che forniscono a pagamento, per chi se lo può permettere, le prestazioni che il pubblico non riesce a dare in tempi ragionevoli. Così iniziano a proliferare le assicurazioni sanitarie private e si mette in crisi il sistema sanitario universalistico. Anche la decisione di passare da 36 Ulss territoriali a 9 macro aree rende il territorio meno governabile, più esso è ampio e più la funzione direzionale nelle piccole cose di tutti i giorni si fa rarefatta”.

Le maggiori criticità

Ma la sanità veneta è in affanno in tanti diversi ambiti, primo fra tutti quello economico, visto che le diverse Ulss si trovano in deficit e al momento la Regione sta cercando di far quadrare i conti. Secondo le previsioni di Azienda Zero, l’Ulss trevigiana sarebbe sotto di 78 milioni, quella padovana di 127 milioni e quella veneziana addirittura di 191 milioni. E’ questo il motivo per cui, con due diverse delibere, sono stati ridotti i limiti di costo per l’acquisto di beni sanitari e farmaci convenzionati e quelli per l’assunzione di personale. A fine anno, probabilmente, i conti saranno in pareggio, ma la sanità pubblica ne avrà risentito ulteriormente.

In Italia come in Veneto mancano medici, infermieri e oss e il problema è destinato ad acuirsi, poiché questi mestieri stanno diventando sempre meno appetibili: stipendi bassi; turni di lavoro molto pesanti, anche a causa della scarsità di personale, che porta chi rimane a dover coprire turni doppi e a prolungare gli orari di lavoro; soprattutto in certi ambiti, grandi responsabilità e rischio di essere denunciati per come si è svolto il proprio lavoro. Questo è uno dei motivi per cui, appunto, si fa così fatica a trovare anestesisti, chirurghi e anche ortopedici. Oggi, tanti medici ospedalieri fuggono dalla sanità pubblica per trovare lavoro nel privato, con orari di lavoro più umani e stipendi più alti.

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Case e ospedali di comunità

Partendo da questa constatazione, il rapporto Gimbe solleva anche un’altra questione, e cioè quella delle case di comunità e degli ospedali di comunità costruiti e da costruire con i fondi del Pnrr. Il pericolo, infatti, è che rimangano inutilizzati, visto che i fondi ne finanziano la costruzione, ma non l’assunzione di nuovo personale, che oggi non possiamo permetterci di spostare dagli ospedali per acuti e dalle rsa già in grave difficoltà.

Alla mancanza di personale sono collegati anche i tempi d’attesa per visite ed esami diagnostici, che non riescono a rispettare le priorità assegnate nelle impegnative, nonostante la Regione Veneto continui a stanziare fondi straordinari per il recupero delle prestazioni che si sono perse a causa della pandemia.

Tra le sfide di fronte alle quali si trova la Regione Veneto, ci sono, inoltre, la medicina territoriale e la telemedicina, l’assistenza a domicilio di un numero sempre crescente di anziani non autosufficienti, che a oggi sono circa 200 mila, mentre i posti nelle rsa sono 33 mila.

Una fase di transizione per l’integrazione tra sociale e sanità

Molti interrogativi rimangono aperti anche sull’integrazione tra sociale e sanitario: l’idea di fondo è che ci siano problematiche che non si possono affrontare solo dal punto di vista sanitario, come le dipendenze, la disabilità o la salute mentale. L’integrazione è un’idea vincente, ma funziona con realtà piccole, in cui le aziende sanitarie riescano a fare rete con le istituzioni comunali e con il terzo settore, ma, al momento, anche per questo ci troviamo in una situazione di transizione, e gli Ats, gli ambiti territoriali sociali, ancora stentano a decollare.

Medici di medicina generale

Altra emergenza veneta, infine, è quella della carenza di medici di medicina generale e di pediatri, con tutte le storture del caso: i medici di famiglia e i pediatri, infatti, non sono dipendenti del sistema sanitario nazionale, ma liberi professionisti pagati dallo Stato un tot a paziente, sui quali lo Stato ha poco controllo: un’anomalia rispetto al resto d’Europa.

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