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Il prezzo degli “intensivi”

“Le nostre tasse devono incentivare allevamenti realmente sostenibili”. Lo afferma la giornalista Giulia Innocenzi, autrice con Paolo D’Ambrosi del documentario “Food for profit”
11/09/2025

Quello degli allevamenti intensivi è un problema tutt’altro che semplicemente animale: il loro impatto sulla vita umana è molto maggiore di quanto comunemente si pensi. In primis, per chi ci lavora, generalmente persone con redditi molto bassi e, spesso, stranieri, esposte non solo a danni psicologici che il settore studia ormai da decenni (come il trauma indotto dalla perpetrazione, o Pits, sottotipo di disturbo da stress post-traumatico), ma anche a malattie del corpo, basti pensare all’influenza aviaria.

Il peso degli allevamenti intensivi, però, grava anche sulla popolazione mondiale, e per questo è un tema che ci riguarda tutti e tutte.

Delle sfumature di questo impatto abbiamo parlato con Giulia Innocenzi, giornalista autrice con Paolo D’Ambrosi del documentario del 2024 “Food for profit”, che ha incontrato il pubblico trevigiano lo scorso 3 settembre, a Sant’Antonino, in occasione dell’evento organizzato da Alleanza verdi sinistra “Sono esseri senzienti. La Madonna sfida gli allevamenti intensivi, un’opera d’arte contro il profitto che distrugge”, con il consigliere regionale Andrea Zanoni e Federico Soffiato, scultore dell’opera itinerante “La Madonna della sana convivenza”.

Iniziamo dai complimenti: nel 2024 “Food for Profit” ha visto 1.600 proiezioni, soprattutto in Italia, ma anche all’estero. Per raccontare il nocciolo delle inchieste che hanno portato alla sua realizzazione, partiamo dallo slogan che avete scelto, “387 miliardi di motivi per cui non vogliono che tu veda questo film”: cosa rappresenta quel numero, e chi non vorrebbe che lo vedessimo?

387 miliardi sono soldi della Politica agricola comune europea che vanno agli allevamenti intensivi. Il che è una contraddizione, perché l’Europa disse di voler essere il luogo più green al mondo, e invece si finanzia un’industria che causa il 14,5% di emissioni di gas serra a livello globale. L’Europa è ostaggio delle lobby, e continua a esserlo: nel 2027 verrà approvata la nuova Politica agricola comune, e non sembra ci saranno cambiamenti in questo senso. La richiesta che portiamo avanti, con il documentario e con la nostra azione giornalistica, è quella di fermare i sussidi pubblici agli allevamenti intensivi: le nostre tasse devono incentivare produzioni realmente sostenibili, ed è necessario fermare l’apertura di nuovi allevamenti.

Ritiene che senza questi sussidi l’industria non sopravvivrebbe?

Senza sussidi i costi sarebbero molto superiori, si riverserebbero sul consumatore e, quindi, il consumo diminuirebbe. Bisogna fermare questo eccesso di produzione, vendere la carne al giusto (cioè il suo reale) prezzo. Del resto, il consumo di carne è già in crisi, soprattutto quella di maiale, che di recente ha affrontato anche crisi della peste suina: a questo proposito, vale la pena ricordare che siamo noi cittadini ad aver pagato per gli abbattimenti degli animali infetti e il ristoro del settore. Prima togliamo gli incentivi e più il mercato potrà autoregolarsi: attualmente, invece, il mercato è inquinato.

Lo stesso potrebbe valere per i derivati animali, che sono strettamente connessi agli allevamenti intensivi e quindi allo sfruttamento animale.

Certo. In Italia le bevande vegetali hanno l’iva al 22% mentre il latte ce l’ha al 4%, ignorando il fatto che ci sono sempre più persone che non possono consumare il latte per motivi di salute. Perché, quindi, dare un’iva diversa? Eppure, il formaggio a base vegetale è raddoppiato negli ultimi due anni, in generale, ci sono dati molto incoraggianti sui prodotti a base vegetale, perché le persone sono sempre più sensibili rispetto a quello che succede all’ombra dei capannoni e ai rischi che comportano queste attività sulla salute umana, in termini di inquinamento e malattie. Tornando alla carne, inoltre, gli studi sulle cosiddette “malattie del benessere” aumentano e dicono che consumare troppa carne, come stiamo facendo adesso, fa male.

Il ruolo politico a livello Comunitario e nazionale è dunque chiaro. Cosa possono fare, invece, le Amministrazioni locali, per contrastare gli allevamenti intensivi?

In questo momento mi trovo a Jesi, provincia di Ancona, dove Fileni ha potuto aprire ben dieci allevamenti in dieci anni, grazie al beneplacito della Regione e dei Comuni coinvolti, nonostante l’opposizione molto forte della cittadinanza che, riunita in un comitato, ha ufficialmente denunciato l’azienda per le emissioni odorifere, per la loro vita barricati in casa, soprattutto d’estate, con l’aria resa irrespirabile dall’ammoniaca. Queste persone sono abbandonate dalle istituzioni, tranne oggi dalla magistratura, che ha accolto le loro istanze. Le Amministrazioni locali devono operare con più trasparenza e tutelare la salute dei cittadini: il territorio paga un prezzo sempre troppo alto, rispetto ai pochissimi posti di lavoro che crea un allevamento intensivo. Il fatto è che oggi l’opinione pubblica è più avanti delle Istituzioni, e di certe associazioni di categoria.

Lo scenario sembra sconfortante: la voce dei cittadini resta spesso inascoltata, per quelle volte in cui riesce ad alzarsi, spesso a cose fatte con la poca trasparenza cui accennava. Ci sono state delle vittorie?

Certo, a Rieti abbiamo fatto chiudere un allevamento che abbiamo mostrato nel documentario: condizioni igieniche assenti, lavoratori tutti in nero, tacchini al macello già morti. Ci sono casi di iter autorizzativi alla costruzione di allevamenti intensivi che sono stati bloccati. Da voi in Veneto sono state presentate diverse interrogazioni al Consiglio regionale: bisogna continuare a osservare e denunciare.

In Veneto oltre cinquecento allevamenti di questo tipo tra suini e pollame. Moltissimi gli abbattimenti

È recentissimo (aprile 2025) il report redatto da IrpiMedia e AGtivist.agency (agenzia giornalistica inglese che indaga le attività delle grandi aziende agricole e zootecniche) che mappa gli allevamenti intensivi di tutta Europa, oltre 24 mila. In Italia ce ne sono 2.146 tra pollame e maiali, il che ci rende il quinto produttore europeo (dopo Spagna, Germania, Polonia e Francia) di carne avicola e suina. Negli ultimi dieci anni (dal 2014 al 2023) sono stati rilasciati 546 nuovi permessi per la costruzione di nuovi o l’ampliamento di vecchi allevamenti (337 di pollame e 209 di maiali), oltre 50 in più ogni anno.

Le province della pianura Padana ospitano il 90% di questi allevamenti. In Veneto abbiamo 76 allevamenti intensivi di suini e 466 di pollame, 542 in totale. Considerando che gli allevamenti, per definirsi intensivi, hanno più di 40 mila polli allevati e più di 2 mila maiali da ingrasso (o più di 750 maiali da riproduzione) significa che in Veneto ci sono almeno 19 milioni di polli e almeno 90 mila maiali.

Capitolo a parte sarebbe quello degli allevamenti intensivi di bovini, che per una vera e propria scappatoia legislativa sono esentati dall’obbligo di chiedere l’Autorizzazione integrata ambientale, analoga, ma non sostitutiva, alle famose Via e Vas, poiché riguarda sempre la valutazione dell’impatto ambientale.

La provincia di Verona conta ben 236 allevamenti pollame: record assoluto tra le province italiane. In provincia di Treviso gli allevamenti di pollame sono 43: significa 1.720.000 animali che si “rinnovano” ogni mese (è, infatti, di circa 30-40 giorni la vita media di un pollo in allevamento, contro i 6-8 anni di vita in natura).

Una quantità e una vicinanza che favorisce i focolai di malattie, che portano all’abbattimento di molti animali: infatti, riporta IrpiMedia, tra gennaio 2024 e gennaio 2025 ci sono stati oltre 60 focolai in Italia, soprattutto tra Lombardia e Veneto, e sono stati uccisi più di 4 milioni di animali allevati.

Nel 2016-17 l’influenza aviaria, solo in Italia, ha comportato milioni di abbattimenti di animali (compresi quelli in via preventiva) e per ristorare il comparto è stato attivato un fondo nazionale da oltre 20 milioni di euro.

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