La situazione dei palestinesi nella striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania), è sempre più drammatica...
Un anno senza Sammy. La mamma: “Il suo amore continua a fiorire intorno a noi”

“Sammy ci ha insegnato a guardare la vita come un dono, e il suo sguardo continua a guidarci ogni giorno”. A un anno dalla morte del figlio, Laura Lucchin parla con dolce fermezza di un’assenza che non è vuoto, ma luce. Le lettere che Sammy aveva scritto negli anni, l’affetto che continua a circondare la famiglia e la ricerca che prosegue nel suo nome sono i segni di una presenza viva: “Ci manca la sua voce, la sua energia, ma tutto ciò che ha seminato continua a fiorire intorno a noi”.
Che cosa rappresentano le lettere che Sammy aveva scritto negli anni e che avete ritrovato?
Quelle lettere, e in particolare ciò che poi è stato chiamato “testamento spirituale”, per noi sono stati due doni diversi ma profondamente legati. Le lettere appartengono alla sua quotidianità: sono il segno del suo modo di comunicare, di pensare, di stare in relazione. Il “testamento”, invece, è stato una rivelazione. Sapevamo che Sammy aveva un’unione profonda con Dio e una fede vissuta con naturalezza, ma quelle parole ci hanno mostrato ancora di più la sua serenità e la sua preparazione. Nelle lettere personali che ha lasciato per me e per suo padre abbiamo percepito tutta la consapevolezza con cui guardava alla vita: sapeva che non era pronto, ma era preparato. Sentiva che tutto ciò che aveva fatto non era per sé, ma per gli altri. E vedeva la vita come un passaggio, un cammino verso la vita vera.
Una consapevolezza che aveva maturato nel tempo?
Fin da bambino sapeva della sua malattia. Non gli abbiamo mai nascosto nulla: gli abbiamo sempre parlato con verità, adattandoci alla sua età. Crescendo, ha saputo tutto. Diceva spesso che quella consapevolezza l’aveva “da sempre”. Conosceva la progeria, sapeva cosa comportava, ma l’ha vissuta in modo limpido, sincero, mai drammatico.
Dopo la morte di Sammy avete scelto il silenzio. A distanza di un anno, quel silenzio è cambiato?
È ancora un silenzio assordante. Prima, con Sammy, la casa vibrava di vita: c’era energia, dialogo, movimento. Parlavamo di tutto, ogni giorno, e con noi aveva un rapporto fisico costante: abbracci, carezze, parole dolci, richieste da entrambe le parti. Tutto questo ora manca, ed è ciò che viviamo quotidianamente. Ma quel vuoto viene colmato da ciò che ci circonda: dall’affetto delle persone che da sempre ci sono vicine. Dopo la sua morte abbiamo chiesto una pausa per ritrovare un equilibrio, ma non siamo mai rimasti soli. L’amore che Sammy ha donato ci sta tornando indietro, moltiplicato.
C’è un episodio, un gesto o una parola che l’ha colpita tra le tante testimonianze ricevute in questo anno?
Tantissimi. Abbiamo ricevuto messaggi, lettere, email da persone che ci raccontano come Sammy abbia cambiato la loro vita, come abbia aperto loro gli occhi e insegnato a guardare le cose in modo diverso. Molti lo ringraziano ancora oggi per l’aiuto che ha dato, anche senza rendersene conto. E noi, attraverso queste testimonianze, abbiamo scoperto quante relazioni profonde avesse costruito. Non sappiamo come facesse, perché anche lui aveva solo ventiquattro ore in un giorno, eppure riusciva a mantenere centinaia di rapporti autentici. Non era mai superficiale: a ogni persona dedicava tempo, ascolto, attenzione. Per lui la relazione era tutto.
Cosa significa essere “gli occhi di Sammy” nel mondo?
Mi ha lasciato tanto, e sento che devo portare avanti ciò che ha iniziato. Cerco di farlo nel suo stile, con il suo metodo. Il progetto più importante, quello a cui teneva di più, è la ricerca. Da ricercatore sapeva quanto fosse fondamentale per gli altri, anche se per sé non c’era più speranza. Gli dicevamo di riposare, ma lui rispondeva: “Adesso no, non ho tempo, più avanti”. Probabilmente sapeva che il tempo era poco. Lo faceva per gli altri, e noi continuiamo quel lavoro. L’associazione, i gruppi di ricerca di Boston e di Bologna: tutti hanno raccolto il suo testimone. La divulgazione e la raccolta fondi restano essenziali, perché la ricerca può andare avanti solo se ci sono risorse.
Si parla della possibilità di una causa di beatificazione...
È qualcosa che ci tocca profondamente, perché Sammy resta prima di tutto nostro figlio. Lo guardiamo con occhi terreni, con l’affetto concreto di genitori. Se mai accadrà, sarà una volontà che viene dall’alto. Io mi sento ancora molto “terrena”, non ho la consapevolezza che aveva lui, anche se sto cercando di imparare, giorno dopo giorno. Certo, ci fa piacere: significa che ha seminato tanto amore, e quell’amore continua a germogliare. Ma il resto appartiene solo a Dio.