Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
La gioia di una presenza - IV domenica di Avvento
Maria in visita alla cugina Elisabetta è immagine di una Chiesa in uscita

La Vergine Maria è uno specchio per la Chiesa, e sta a davanti a noi come modello esemplare di vita. Se questo è vero, già al suo primo apparire nel Vangelo ella si mostra a noi come immagine della “Chiesa in uscita”. È quanto accadde dopo l’annuncio che sarebbe diventata madre del Salvatore. Avendo saputo della gravidanza della cugina Elisabetta, avanti egli anni, Maria “si alzò andò in fretta verso la regione montuosa, una città di Giuda”, dove abitava la parente per poterla aiutare, ma anche toccare con mano le meraviglie di Dio a cui “nulla è impossibile”
Un viaggio non indifferente, di quasi 150 Km, con un cammino di almeno quattro giorni, da Nazareth fino a quel villaggio fuori Gerusalemme. Non si dimentichi inoltre che Maria pur essendo legalmente sposata a Giuseppe non viveva ancora con lui. Nel periodo che intercorreva tra il primo e il secondo tempo del matrimonio, la sposa doveva vivere con i genitori e non le era permesso allontanarsi dal villaggio. La decisione di Maria di intraprendere un viaggio che l’avrebbe portata così lontano da casa, attraverso strade faticose e anche pericolose, rivela il coraggio e la libertà di questa ragazza. Siamo ben lontani da certe immagini di “madonnine” esangui e sentimentali.
È un viaggio senza precedenti nella “storia della salvezza”, perché è la prima uscita del Figlio di Dio fatto uomo, in mezzo alla sua gente. Quell’embrione di vita che Maria porta con sé, rende quel viaggio la prima processione…eucaristica della storia! Da allora quando un credente percorre le strade del mondo, sa che non camminerà mai più da solo, ma con quella Presenza che è stata generata anche in lui con il battesimo e alimentata dalla vita sacramentale.
Come Maria ogni credente è un “Cristoforo” (portatore di Cristo). Da che cosa gli altri se ne accorgeranno? Non da prediche o discorsi, ma già solo dal modo di…salutare! Dice infatti Elisabetta a Maria: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo”. Sappiamo anche noi far sussultare di gioia quanti incontriamo? Come e perché, invece, il cristianesimo appare a molto incapace di trasmettere gioia?
È facile ascoltare il lamento di tanti buoni fedeli che vedono il Natale ridotto ad una “festa senza Gesù”. Ma non sarà forse perché noi cristiani abbiamo presentato troppe volte un “Gesù senza festa” e una religiosità, se non sempre della paura, certamente troppo seria e pesante?
Chiediamoci se quel Gesù è veramente quello che, nel vangelo, provocava salti di gioia? Scrive Bernanos: “Il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste”.
È la mancanza di una relazione di intima amicizia con Gesù che, tante volte, rende le nostre comunità“un popolo triste”. Siamo forse dei volenterosi “facchini” negli impegni di vita cristiana, ma non degli “innamorati” di Gesù. Prima o poi ci si stanca e si molla tutto, incapaci di rispondere a quella insidiosa domanda che prima o poi si fa subdolamente largo in noi: “Ma chi me lo fa fare?”
Per essere missionari come Maria è necessario avvertire nella propria vita la gioia di una Presenza. A ognuno sarà donato il modo particolare con cui annunciarla e contagiare gli altri della propria fede. C’è chi lo farà parlando, chi, invece, con un agire quotidiano nel segno della premurosa attenzione, chi “in silenzio e solo con un sorriso” (Turoldo).
È bella l’invocazione litanica: “Maria, causa della nostra gioia”. E è bello poterla applicare anche a tante persone che sono motivo di gioia e serenità. Una Chiesa autenticamente mariana sarà sempre una Chiesa in uscita, coraggiosa anche nell’andare contro le consuetudini, semplice e aperta nelle relazioni, pronta a riempire di senso ogni più piccolo gesto quotidiano.
Se così saprà essere, sarà una Chiesa “causa di gioia” per tutti. Non a motivo di attrazioni brillanti, sempre passeggere e alle fine noiose pure esse, bensì per la gioia di essere “gravida” di Dio.