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Oggi ci dice ancora: "Non abbiate paura"

E’ stato definito Karol il Grande, e qualcuno gli ha dato l’appellativo di “magno”. Karol Wojtyla nasceva 100 anni fa, il 18 maggio 1920, a Wadowice, in Polonia. Papa, con il nome di Giovanni Paolo II, dal 1978 al 2005 (morì il 2 aprile), è stato canonizzato nel 2014. Abbiamo chiesto di ricordare alcuni tratti della sua luminosa figura a Marco Impagliazzo, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma 3 e presidente della Comunità di Sant’Egidio.

15/05/2020

E’ stato definito Karol il Grande, e qualcuno gli ha dato l’appellativo di “magno”. Karol Wojtyla nasceva 100 anni fa, il 18 maggio 1920, a Wadowice, in Polonia. Papa, con il nome di Giovanni Paolo II, dal 1978 al 2005 (morì il 2 aprile), è stato canonizzato nel 2014. Abbiamo chiesto di ricordare alcuni tratti della sua luminosa figura a Marco Impagliazzo, docente di Storia contemporanea all’Università di Roma 3 e presidente della Comunità di Sant’Egidio.

In che cosa il suo è stato un pontificato “speciale”?

Karol Wojtyla è stato un testimone esemplare della storia del Novecento e anche una figura emblematica del passaggio di due secoli: il XX e il XXI. Ha avuto un’esperienza unica del mondo: 127 Paesi del mondo visitati (alcuni più volte) nei suoi viaggi hanno fatto di lui l’uomo che ha avuto una comunicazione diretta con più persone e con più folle. E’ stato un Papa carismatico, che ha sempre connesso la responsabilità di successore dell’apostolo Pietro al martirio, a rischio della sua stessa vita, come nell’attentato del 13 maggio 1981. Giovanni Paolo II ha avuto ampie visioni ideali, ma sempre a partire da una conoscenza degli uomini e dei popoli nei loro diversi contesti. Non ha cessato di stupire con i suoi richiami alla necessità della pace mentre la guerra si è riaffacciata nel mondo come strumento di risoluzione dei conflitti. Ha sorpreso con i suoi gesti spirituali profetici e le sue mistiche coordinate geopolitiche. Ha sorpreso con la forza apostolica dimostrata fin nell’estrema debolezza della malattia, giunta quasi a sfigurarlo. L’appellativo di “magno” si adatta perfettamente alla sua figura e alla sua opera.

Quali tra i suoi documenti e discorsi ritiene ancora oggi fondamentali? E quali gesti?

Il suo messaggio, in tutti i suoi discorsi, documenti, gesti e viaggi, è stato per me un richiamo all’audacia della fede: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”. Le parole dell’inizio del pontificato sono risuonate come un forte messaggio alla Chiesa, invitandola ad aprire la strada al futuro del cristianesimo. La sua eredità non consiste in una somma di decisioni o iniziative, ma in un afflato spirituale e in una passione d’insieme che vanno colti guardando anzitutto all’atteggiamento spirituale di un uomo che non ha avuto paura di misurarsi con la complessità del suo tempo. Wojtyla, uomo dell’identità e del dialogo, più che Papa del progetto, si è presentato come modello per i cristiani. C’è una sua frase che vorrei però ricordare: “Tutto può cambiare, dipende da ciascuno di noi”. La disse nel gennaio 2003, oramai anziano e malato, parlando al Corpo diplomatico. Era convinto che il cristianesimo dovesse salvare gli uomini e le donne, ma anche cambiare la storia e la vita dei popoli rimettendola in movimento.

Dove vediamo più immediatamente i tratti della sua santità?

Nella capacità di entrare in relazione con gli altri e nella preghiera. Wojtyla è stato un uomo appassionato all’incontro. Anche a tavola, desiderava circondarsi di ospiti, come assetato di notizie e amicizie. Segnati da una profonda tenerezza erano gli incontri con i malati e i poveri, mai interrotti anche quando il suo corpo era piegato dalla malattia. In proposito, Andrea Riccardi ha parlato di un’ascesi dell’incontro: lui che era il Papa, amava ascoltare e aveva sempre da imparare dagli altri. Ma per parlare della santità di Giovanni Paolo II occorre ricordare anche la sua preghiera. E’ stato il papa che ha “inventato” le Giornate della Gioventù, insegnando a pregare a generazioni di giovani, il Papa della preghiera per la pace con le altre religioni e della preghiera silenziosa al Muro del Pianto.

Vede un legame e una continuità, pur nelle diversità di cultura e carattere, con i Papi che gli sono succeduti?

La Chiesa cammina nella storia ed è tradizione, cioè vive della continuità di un deposito di fede che si riceve e si trasmette. Un segno eloquente è il fatto che papa Wojtyla sia stato beatificato da Benedetto XVI e canonizzato da Francesco. Poi, la scelta di papa Bergoglio di proclamare, nel 2014, la santità di Giovanni Paolo II insieme a quella di Giovanni XXIII, ha legato questi due papi del Novecento alla luce del Concilio Vaticano II, che è la grande eredità della Chiesa contemporanea, ma anche il suo futuro, per continuare a vivere e comunicare il Vangelo agli uomini e alle donne del nostro tempo.

Come Sant’Egidio, il vostro legame con papa Wojtyla dipende molto dal dialogo e dalla preghiera interreligiosa, e dal tema della pace. Lo diciamo mentre si svolge il 14 maggio una preghiera mondiale interreligiosa. Su questo punto la sua è un’eredità irreversibile?

Nel 1986 ad Assisi, in epoca di guerra fredda, convoca i leader delle religioni mondiali - fatto inedito nella storia religiosa - per pregare l’uno accanto all’altro per la pace. Per me l’immagine di quel giorno resta un’icona del futuro del mondo che cerca la pace. Il Papa aveva colto che le religioni possono essere strumento di pace, ma anche elemento legittimante le guerre e i conflitti. Era convinto che la secolarizzazione non avrebbe cancellato il ruolo delle religioni. Da allora è sorto quello spirito di Assisi, che ha portato tanti frutti di pace e di dialogo, di cui Sant’Egidio è uno dei testimoni e degli artefici. Ma tutto dobbiamo al rinnovamento iniziato nella Chiesa con il Concilio Vaticano II, di cui papa Wojtyla è stato un interprete straordinario, come appunto con l’inedita iniziativa di Assisi che ha fatto del dialogo tra le religioni e del loro impegno per la pace un fatto irreversibile. Il suo pontificato punta sull’evangelizzazione, ma è anche convinto che essa non contrasti il dialogo con le altre religioni. Per lui, entrambe le dimensioni fanno parte della visione universale, globale, della Chiesa, per cui nessuna parte del mondo è straniera. Devo poi ricordare che per Giovanni Paolo II il dialogo interreligioso non scolora le appartenenze. Al contrario, aiuta ad andare alle radici della propria identità.

Attualizzare è sempre difficile. Ma quali tra gli atteggiamenti, le parole, i gesti di Giovanni Paolo II ci sono particolarmente vicini nell’attuale drammatica contingenza?

Wojtyla ha sperimentato in prima persona la storia dolorosa del Novecento, a partire dalla sua Polonia: la Seconda guerra mondiale, la Shoah, il totalitarismo comunista. Davanti a queste grandi sofferenze Giovanni Paolo II ha invitato a “non avere paura”, lanciando un messaggio che ha generato tante energie dentro o fuori la Chiesa. A un Occidente in crisi ha annunciato il Vangelo; ai popoli dell’Europa dell’Est, impauriti sotto il giogo dei regimi comunisti, ha comunicato speranza, innescando un processo di liberazione che all’epoca sembrava un’utopia. In un tempo come il nostro, segnato da tante paure, chiusure e violenze, bisogna meditare sulla fede di Giovanni Paolo II nella Misericordia di Dio, che pone sempre un limite al male. Oggi è un tempo in cui riscoprire ancora una volta - come Giovanni Paolo II ci ha più volte ripetuto - che Dio è “Dives in misericordia”, ricco di misericordia.

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