venerdì, 04 luglio 2025
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XIV domenica Tempo ordinario : Inviati, è necessario!

Tutti chiamati ad andare, per la responsabilità affidataci col battesimo

Sì, è necessario l’invio. Non c’è altro modo che sia coerente con la scelta che Dio ha fatto con il suo popolo - con tutta l’umanità, e che è culminata in Gesù. Ovvero: non costringere la gente a credere a forza di miracoli, ma rispettarne la libertà, a costo dei mille fallimenti prima e dopo il fallimento supremo: l’uccisione del Figlio di Dio come malfattore. E’ la scelta di chi ha deciso di amare e di non recedere mai dall’amore. La cui forza prevede un rispetto inevitabile per la nostra fragile, condizionata libertà, perché essa è uno dei componenti principali del nostro essere umanità.

Inviati a offrire, non a imporre. E quindi, sì, è necessario inviare persone che abbiano sperimentato l’incontro con Gesù, che abbiano intravisto come lui annunciava, con fatti e con parole, che Dio sta venendo, agendo con misericordia tenace - è questo il Regno che lui annuncia con la sua intera vita. E’ necessario inviarle ad ogni popolo, ben oltre Israele - 72 erano le Nazioni immaginate dopo il diluvio, vedi Gen 10 - perché tutte le genti abbiano la possibilità di accogliere il Regno di Dio che viene. E’ necessario inviarle consegnando loro uno stile di annuncio: costituito di fatti e di parole (Lc 10,9), senza grandi mezzi e che proprio per questo pone l’efficacia in Dio stesso: sono in pochi, in mezzo a gente che può diventare ostile, gli è indicato di non usare la forza della violenza, di dipendere da coloro a cui sono inviati affinché vi sia reciprocità, non solo dono unilaterale. Perché il dono è opera di Dio, del suo Regno che viene malgrado ogni rifiuto, nel cammino continuo della Pasqua. Quei 72 sono inviati a donare la pace - shalom che è ben oltre la sola assenza di guerra: è il sogno di vita piena che le promesse di Dio portano a compimento. Quel dono non va a imporsi, quanto ad offrirsi. Ed è necessario inviarli non da soli, ma a due a due, embrione di un annuncio che prende forza da una relazione, tra loro e con Gesù, e che diventerà sempre più opera di un’intera comunità.

Tra casa e città. C’è una dinamica, poi, tra casa e città, che indica un annuncio il quale chiede dapprima di piantarsi nel terreno fragile e ricco di comunità familiari - le case, decisive del rimanere in benedizione di pace e del suo aprirsi alla collettività, che avviene in conseguenza all’essere accolti in casa. Quel primo passaggio è davvero cruciale: una comunità dovrebbe curare al suo interno spazi di accoglienza, per essere continuamente nuovamente evangelizzata da testimoni che provengono da altrove e, di conseguenza, sempre rinnovata da esperienze ricche e diverse della relazione con il Signore Gesù. Continuamente rievangelizzata dalle Chiese che vengono “dalle genti”, giunte fra noi spesso attraverso cammini di grande rischio e sofferenza, veri agnelli che hanno attraversato branchi di lupi rapaci...

La gioia decisiva. E, alla fine, la nota della gioia: sembra di riascoltare papa Francesco, la sua insistenza sulla gioia, da Evangelii Gaudium in poi. Una gioia che non si basa tanto su una vittoria sul Male, in tutte le sue forme: nasce dall’essere ormai iscritti nel tessuto del Regno, a opera di Dio stesso. Certo, la lotta contro il Male fa parte dell’annuncio del Regno di misericordia e di pace ed è nostra grande responsabilità, perché diventa azione di liberazioni e di vita. Però la gioia che annunciare in molti modi il Vangelo comporta è ben più grande, e custodita da Dio stesso.

Oggi, qui. Come, oggi, qui, in una Chiesa che sembra mortalmente stanca e richiusa in se stessa? Prima di tutto, mettendo insieme esperienze di incontro con lui, attraverso il rimetterci a contatto gli uni con gli altri nelle nostre comunità, per valorizzare il tanto di bene in esse presenti. E questo è conseguenza di una rinnovata fiducia in lui, nel suo Regno che viene ben oltre i nostri soli sforzi. Accettando che i limiti delle nostre risorse non diventino depressione e paralisi, ma provocazione ad affidarci a lui che ci invia. E capaci di accogliere anche fallimento e rifiuto, senza permetter loro di farci diventare intolleranti impositori di un Regno di Dio che vive invece logiche altre, di libertà, di misericordia, di amore. Disponibili a lasciarci donare gioia, sorprendente ed efficace nel sostenere vita e shalom, dono rigenerante del suo Spirito, segno autentico di un’esistenza che viene da lui, capace di reggere fin dentro la tristezza e il fiato che manca in vicende di morte e desolazione.

Inviati. Certo, è necessario inviare testimoni (Rm 10,14-15). E tutti siamo chiamati ad andare, per la responsabilità affidataci con il battesimo. Responsabilità di credibilità, ascoltando le indicazioni date a quei primi inviati. A noi però anche la gioia di partecipare a una vita che vuole innervare ogni esperienza umana, salvarla, valorizzarla, aprirla a speranza che non delude. A un Regno di Dio che prende forma nelle relazioni vitali dell’umanità.

Cristo non ha mani

ha soltanto le nostre mani

per fare oggi il suo lavoro.

Cristo non ha piedi

ha soltanto i nostri piedi

per guidare gli uomini sui suoi sentieri.

Cristo non ha labbra

ha soltanto le nostre labbra

per raccontare di sé agli uomini di oggi.

Cristo non ha mezzi

ha soltanto il nostro aiuto

per condurre gli uomini a sé oggi.

Noi siamo l’unica Bibbia

che i popoli leggono ancora

siamo l’ultimo messaggio di Dio

scritto in opere e parole.

(Anonimo del XIV secolo)

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