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Intervista alla giovane pianista Maya Oganyan: l’arte va al di là dei conflitti in corso

Origini armene, nata in Russia, dove si reca per trovare i nonni, vive a Venezia da quando ha sei anni. “Avere avuto influenze diverse, mi rende una persona più aperta”. Si esibirà, sabato 27 settembre, al teatro Accademico di Castelfranco e, domenica 28, al teatro Maffioli di villa Benzi a Caerano di San Marco
26/09/2025

Diciannove anni e un curriculum di tutto rispetto: è Maya Oganyan, pianista talentuosa che si esibirà nella Marca per un doppio appuntamento, sabato 27 settembre alle 21, al teatro Accademico di Castelfranco, e domenica 28, alle 18, al teatro Maffioli di villa Benzi, a Caerano di San Marco. S’intitola “Eroico e regale” il concerto eseguito dall’orchestra giovanile regionale Filarmonia Veneta, diretta dal maestro Giovanni Costantini e di cui Oganyan sarà ospite speciale. “Largo ai giovani”, verrebbe da dire, perché hanno qualcosa da dire e una passione da trasmettere.

Nata a Mosca, di origini armene, vivi a Venezia da quando hai sei anni, suoni e ti esibisci in tutto il mondo. Che cosa significa per te il concetto di appartenenza e quanto hai fatto tuo delle culture armena, russa e italiana?

Aver avuto influenze diverse mi rende una persona più aperta, e penso valga per tutti. Non mi sento di appartenere a una nazione piuttosto che a un’altra. Sono molto legata alla Russia, dove abitano i miei nonni e che visito spesso, lo definirei un legame “romantico”: ho riscoperto molto più avanti negli anni la letteratura e la musica russe, che amo molto. La scuola pianistica russa è una delle migliori al mondo e ho compreso tardi che questo mi mancava. Alla cultura armena mi sono avvicinata grazie a mio padre e, a oggi, trascorro molto tempo in Armenia, dove vivono tanti dei miei familiari. Ho una grande curiosità nei confronti della musica armena, che trovo troppo poco diffusa e per questo mi piace avere la possibilità di divulgarla. In Italia ho fatto tutto il mio percorso scolastico, ma cerco di non attaccarmi al posto dove abito; piuttosto sento un legame stretto con la cultura italiana e la sua lingua, il suo popolo caloroso e spontaneo.

Alla musica ti sei avvicinata già in tenera età e a soli diciannove anni hai un curriculum notevole di premi ed esibizioni importanti. Riesci a immaginarti un punto di arrivo dal punto di vista professionale?

Mio padre è sempre stato un grande appassionato di musica classica, in casa mia si sono sempre ascoltati molti dischi. Mi sono avvicinata al pianoforte per una questione di educazione “generale”: avevo quattro anni e si è scoperto che ero portata, oltre al fatto che mi piaceva moltissimo. Il mio primo insegnante, Alexander Maykapar, professore alla “Gnessin” Music Academy di Mosca, mi ha insegnato un certo approccio alla musica e a cogliere il collegamento della musica con le altre arti, spingendomi a proseguire in questa passione. A Venezia, anni dopo, ho frequentato il Conservatorio. Direi che non c’è un punto di arrivo, non ci sarà mai la cima del mio miglioramento. Per ora, a proposito degli obiettivi carrieristici, sono molto serena, perché il mio scopo è suonare quanto meglio posso e per quante più persone possibile, soprattutto persone che comprendono come sto suonando.

La musica classica e in generale i concerti fanno sempre meno parte della “dieta” quotidiana e culturale, almeno in Italia. Credi sia possibile rendere la musica classica più “accessibile” per un pubblico sempre più a digiuno?

Il fenomeno in Italia esiste ed è perfettamente comprensibile, sia socialmente che storicamente. Credo però che, per quanto non possiamo cambiare direzione al processo di influenza che hanno, per esempio, le tecnologie e l’intrattenimento breve, come comunicatori e persone che portano la musica alle persone è necessario cambiare, migliorare o adattare il format in cui comunichiamo la nostra arte alla società che abbiamo di fronte. Trovo irrealistico condurre l’arte nel mondo in cui è stata condotta duecento anni fa, perché la musica “serve” nel momento in cui è ascoltata, tocca mente e anima. Certo, bisogna trovare il modo giusto, perché è facilissimo cadere nel pop, ma dovrebbe rientrare nei desideri di un artista o di un esecutore come me il trovare un modo migliore per far arrivare quello che si sta suonando.

A proposito di comunicatori, credi che gli artisti, in generale, abbiano una voce privilegiata da utilizzare in nome di valori o cause sociali a cui sono legati (per esempio l’ambiente, le questioni di genere, le guerre...)? Penso al dibattito che si è acceso in occasione della Biennale cinematografica di Venezia a proposito della Palestina, su cui magari, grazie alla tua origine armena (popolo che ha vissuto sulla propria pelle un genocidio), potresti avere una visione privilegiata.

Credo che le emozioni che si possono provare rispetto a quanto succede in Palestina siano una caratteristica umana, e che non sia necessario appartenere a un popolo che ha vissuto una cosa simile, oltretutto in tempi e modi molto diversi. È semplicemente una questione di umanità. Dopodiché credo che l’arte sia arte per se stessa: ci sono opere incredibili che si sono compiute sotto le influenze politiche peggiori, quindi dipende da come la si usa, la propria voce. Io ho diciannove anni, non sento di avere un briciolo della comprensione di come questo possa succedere nel migliore dei modi, per evitare di risultare inefficace o inappropriata. Penso sia importante che la persona sia cosciente e consapevole di come agisce.

Che cosa possiamo aspettarci allora da questo concerto per pianoforte orchestra n. 3 in do minore op. 37 di Beethoven che eseguirai con l’orchestra giovanile regionale Filarmonia Veneta?

Personalmente sono molto legata a questo pezzo, è stato uno dei miei primi concerti importanti con l’orchestra, e negli anni ha subito moltissime evoluzioni nel modo in cui lo percepisco e lo interpreto. È un concerto che unisce drammaticità ed estrema dolcezza, è un movimento dedicato all’amata di Beethoven, ha una componente attiva ed eroica, ma anche contenuta, nobile, “regale” appunto. Si tratta di un concerto rivoluzionario nella storia musicale del musicista, è il momento in cui si stacca dal classicismo e vengono alla luce tendenze romantiche.

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