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Ritrovato il primo testamento di Antonio Canova

L’idea è sempre stata una sola: garantire con il suo grande patrimonio la madre e i fratelli, ma anche essere generoso e sollecito verso la sua terra, la sua patria, Possagno.
Lo conferma anche il ritrovamento del primo dei diversi testamenti che Antonio Canova redasse, un uomo che in questi scritti appare attento alla fede, alla formazione, alla vita quotidiana delle genti fra cui era nato.
Il documento, datato 1799 e rinvenuto nell’archivio parrocchiale, è venuto alla luce durante un progetto di valorizzazione promosso insieme alla Diocesi di Treviso.
A identificarlo è stato il ricercatore Marcello Cavarzan.
Redatto in un momento di svolta per l’artista, appena rientrato in Veneto dopo i tumulti rivoluzionari, il testo mostra una visione chiara: mettere il proprio talento e i propri beni al servizio della comunità.
La direttrice del museo gypsotheca Canova, Moira Mascotto, sottolinea il valore di questo testo rispetto al corpus testamentario dello scultore: “Questo testamento è il primo, fino a oggi conoscevamo quello del 1802 come il più antico. Ne esistono in tutto sei, redatti tra il 1799 e il 1822, c’è coerenza tra le disposizioni, pur in contesti diversi e in momenti diversi della sua vita”.
Nel testamento si leggono disposizioni che anticipano progetti culturali e sociali poi divenuti realtà.
Canova immaginava una biblioteca artistica nella casa natale, una raccolta di gessi per l’apprendimento del disegno, il sostegno alle scuole, l’istituzione di doti annuali per le giovani del paese. Infatti, oltre ai lasciti per la famiglia, destina la parte più consistente del patrimonio alla comunità, per garantire la gestione della scuola insieme all’assegnazione annuale di tre doti a ragazze povere del paese.
Ogni riga trasmette il desiderio di lasciare tracce concrete e durature a beneficio dei concittadini.
Questa scoperta, la più antica fra le ultime volontà note dell’artista, ancora in bozza e non definitiva, rafforza l’immagine di un Canova profondamente radicato alla sua terra e guidato da un senso etico del bene comune.
Non solo il genio della scultura ne esce rafforzato, ma anche l’uomo: generoso, lungimirante, capace di trasformare l’arte e la memoria in un’eredità collettiva che parla ancora oggi a Possagno e oltre.