lunedì, 23 giugno 2025
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La grande frenata dell’artigianato veneto

La tempesta perfetta si è abbattuta sul made in Veneto. Il bilancio si è aggravato, proprio alla fine di un quinquennio che era iniziato bene. A incidere sono anche l’incertezza sugli Stati Uniti e il difficile contesto internazionale. La via d’uscita? Diversificare i mercati

La grande frenata dell’artigianato veneto non evita di sbattere contro la contrazione dell’export verso gli Stati Uniti e il crollo del dollaro. Insomma, la tempesta perfetta si è abbattuta sull’artigianato veneto, sul made in Veneto. Il bilancio si è aggravato, proprio alla fine di un quinquennio che era iniziato bene: infatti, rispetto al 2019, l’export è cresciuto del 22 per cento, portando il totale dell’export manifatturiero a 77 miliardi. Questo resta l’unico dato positivo: infatti, dal 2023 l’export è calato del 2,2 per cento e, nel Veneto, abbiamo perso 3.919 imprese. In cinque anni, praticamente, ogni giorno ha chiuso un laboratorio, una bottega, un’officina. Negli ultimi 12 mesi, 1.039 attività hanno chiuso, portando la media delle chiusure a 2,8 imprese al giorno.

Confartigianato Veneto ha presentato questi dati con uno sguardo aperto al futuro. “Non è un ridimensionamento - ha spiegato Roberto Boschetto, presidente di Confartigianato Imprese Veneto -, ma una selezione naturale. In un mondo dove l’autenticità è sempre più ricercata, l’artigianato rappresenta l’anello forte tra identità, territorio e competitività. Pesa lo scenario troppo incerto: ingessa la programmazione e frena gli investimenti, mettendo a rischio le filiere altamente specializzate”.

Il settore che più cala è quello metallurgico, dei metalli e dei minerali (-21,9); seguono la moda, con -18,5; legno e arredo, -16,7.

Questa l’analisi di Boschetto: “Il tessuto produttivo del Veneto, storicamente fondato sulla piccola impresa e sulla filiera corta, sta vivendo una transizione difficile. A pesare sono stati in questi anni l’aumento dei costi energetici e delle materie prime, la burocrazia, la difficoltà di trovare manodopera qualificata e un ricambio generazionale sempre più complicato. Ma il dato del 2024 racconta anche una discontinuità profonda: il rischio che il Made in Italy si svuoti del suo cuore artigiano: stiamo perdendo competenze, la migrazione verso l’industria è preoccupante”.

Il tema del personale è ormai strategico. Ben il 65 per cento dei lavoratori necessari all’artigianato sono difficili da reperire. Le Pmi di Treviso si attestano sul 60 per cento, Padova sul 58 e Venezia sul 56 per cento; la crescita è pesante per tutte e tre le province, rispetto al 2023.

Paradossalmente, nell’epoca del digitale, Treviso perde la maggior parte di addetti nell’elettronica e informatica (-24,2), Venezia e Padova nel settore dei macchinari rispettivamente -31 e -28 per cento. La perdita di addetti non salva nessun settore tranne la gioielleria a Treviso (+16,9).

In questo scenario, l’export, finora, ha rappresentato un’ancora di salvezza. Il balzo rispetto al 2019 è stato deciso, ma nel 2024 il trend si è invertito: tengono i comparti alimentare e gioielleria, l’occhialeria, in calo legno e arredo, chimica e farmaceutica.

Oggi si affaccia una crisi internazionale. Molte imprese esportatrici vivono con il freno a mano tirato: dazi, barriere commerciali e instabilità geopolitica ingessano la programmazione e costringono a posticipare gli investimenti, mettendo, così, a rischio la competitività di filiere altamente specializzate.

Loris Balliana, vicepresidente vicario di Confartigianato Imprese Marca trevigiana, conferma il momento critico dell’export: “I nostri prodotti, con la svalutazione del dollaro (-10%), diventano ancora più costosi per i consumatori americani, a parità di valore nominale, erodendo quote di mercato e riducendo i margini di profitto. Inoltre, la riduzione dei tassi da parte della Bce, da una parte potrebbe alleggerire il credito alle imprese, ma dall’altra indebolisce ulteriormente l’euro”.

A farne le spese Treviso, seconda provincia in Veneto per esposizione della manifattura ai dazi verso gli Usa. Nel 2024 il mercato a stelle e strisce aveva comprato merci “Made in Treviso” pari a 1.343 milioni di euro, il 18,8 per cento delle esportazioni venete. Un anno positivo sul mercato statunitense, che ha visto l’export della Marca trevigiana crescere del 5,1 per cento rispetto al 2023.

Storia completamente diversa per il primo bimestre del 2025 con un calo del 2,8 per cento.

Senza dimenticare che la provincia sconta già la contrazione degli scambi con la Russia (-15,5 per cento), il crollo di quelli con l’Ungheria e la Gran Bretagna, tre mercati che valevano 85 milioni di euro. Con la Germania, Treviso perde già 202 milioni di euro.

Si affacciano nuovi mercati. Le aziende non stanno ferme e pensano a sostituire i mercati persi: dall’Oriente arriva una crescita di 73 milioni di euro e a fare il balzo è la Turchia con un +21,7 per cento, accompagnata dalla Cina e dagli Emirati Arabi Uniti. Se globalizzazione deve essere, facciamola completa, con uno sguardo aperto a 360 gradi. Non dimentichiamo che l’Europa attende dagli Stati l’approvazione definitiva del Mercosur, ovvero l’accordo di libero scambio con Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay e Bolivia. Un ampliamento di prospettiva commerciale ancora frenato da protezionismi.

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