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Da ottant’anni il Kashmir divide India e Pakistan

Fragile cessate il fuoco e trattative avviate dopo gli scontri avvenuti il 9 e 10 maggio. Ripercorriamo la storia di questo conflitto

Due potenze nucleari, nelle quali vivono 2 miliardi di abitanti, legate da una secolare contrapposizione religiosa, vivono un conflitto che dura da quasi 80 anni. Nel 1947, il Regno Unito divise la propria colonia, denominata “India” in due nazioni separate, concedendo loro l’indipendenza: una a maggioranza induista, l’India, e l’altra a maggioranza musulmana, il Pakistan.

La storia recente

Negli ultimi due mesi sono aumentati gli sconfinamenti e attacchi lungo le aree di confine, seguiti a respingimenti reciproci di cittadini dell’altro Paese. Lancio di missili contro le rispettive basi aere e attacchi con i droni rappresentano l’ultima escalation. Milioni di persone, nelle città lungo il confine conteso, sono sotto pressione, a causa di blackout ed esplosioni. In un contesto geopolitico di frammentazione e “guerra mondiale a pezzi”, le grandi potenze militari sembrano appisolate. Si evidenzia, anche in questo caso, la debolezza del sistema delle Nazioni Unite.

I precedenti

Sessant’anni fa, tra aprile e settembre 1965, Pakistan e India si affrontarono per il Kashmir (regione nel settentrione del subcontinente indiano, la cui esistente linea di frontiera risulta non riconosciuta), replicando una guerra che avevano inutilmente combattuto nel 1962, e che avrebbero, altrettanto inutilmente, inscenato nel 1999. Nel frammezzo, la guerra indo-pakistana del dicembre 1971 e le incursioni dei gruppi separatisti, sostenuti dai due Governi, che hanno alimentato un clima di conflitto perenne a bassa intensità.

Analogie storiche?

L’imposizione del cessate il fuoco, nel 1965 ha avuto, fra gli altri effetti, quello di non stimolare nei due Paesi un dibattito obiettivo su cause e modi di conduzione della guerra, dando fiato alla retorica patriottica e al successivo smembramento del Pakistan, nella breve guerra del dicembre 1971, con la secessione del Bangladesh. L’India, vincitore politico della guerra del 1965 e più solido regime democratico, avrebbe raccolto i frutti dell’indebolimento del nemico.

Si era in tempi di guerra fredda. L’India, dal conflitto del 1965, usciva con il potenziale di armamenti rafforzato rispetto all’avversario, e con accresciuto ruolo politico nel movimento dei Paesi “non allineati”. Gli Stati Uniti presero piuttosto male la nuova situazione, che di fatto modificava gli assetti di una zona di grande interesse strategico, ma friabile, con Cina e Russia a un tiro di schioppo.

Il Pakistan, secondo Paese al mondo con il maggior numero di persone di fede musulmana, ha cominciato, così, una lunga rincorsa come potenza militare regionale, dotandosi di armamenti nucleari.

Dentro la regione

Il Kashmir è, appunto, diviso tra India e Pakistan, anche se una parte rivendicata dall’India, si trova in territorio cinese. La parte pakistana, il Gilgit-Baltistan, è a sua volta fortemente autonomista e oppressa dal Governo pakistano. Discorso analogo per la parte indiana, il Jammu-Kasmir.

In tutto il Kashmir la religione prevalente è l’islam.

Dal 1947, India e Pakistan si contendono questo territorio, nella cui parte indiana nasce l’Indo, il fiume che attraversa da nord a sud l’intero Pakistan, e i suoi numerosi affluenti vitali per l’uso della acqua, sia a livello civile che per agricoltura e industria. La sopravvivenza di almeno metà dei pakistani dipende dall’acqua di fiumi che nascono nella parte indiana, gestione regolata da accordi internazionali fin dagli anni Sessanta, e recentemente sospesi dal Governo indiano.

Tizzoni mai spenti

Pur risalendo le origini di questa crisi alla loro stessa formazione come Stati nazionali sovrani nella loro forma attuale, mai i rivali confinanti dell’Asia meridionale si erano attaccati a vicenda su questa scala, al di fuori delle quattro guerre combattute.

La revoca dell’articolo 370 della Costituzione indiana, che garantiva uno statuto speciale al Kashmir, è considerata una delle cause principali del nuovo conflitto. Questa azione, avvenuta nel 2019, ha abolito l’autonomia regionale della regione, scatenando un crescendo di proteste e tensioni.

Il casus belli è avvenuto il 22 aprile scorso, dopo che uomini armati hanno ucciso 26 civili a Pahalgam, nel Kashmir sotto amministrazione indiana.

Numerosi testimoni hanno raccontato che gli uomini armati hanno separato gli uomini dalle donne, e poi hanno selezionato e ucciso gli uomini non musulmani. L’India ha accusato il Pakistan di aver sostenuto i combattenti che hanno rivendicato l’attacco. Islamabad ha negato qualsiasi coinvolgimento. Accuse reciproche, chiusura delle scuole coraniche, espulsione di diplomatici, sospensione di una serie di accordi commerciali hanno portato a riaprire il conflitto armato tra i due Paesi.

L’ora della pace

Prima della tregua, nella notte tra venerdì 9 e sabato 10 maggio, India e Pakistan si avevano colpito reciprocamente le rispettive basi militari, su una ampia porzione di territorio, ben oltre il Kashmir. Questo ha portato il conflitto armato a spostarsi in un territorio pressoché sconosciuto.

A quel punto la moral suasion di Stati Uniti e Cina ha spinto i Governi di Nuova Delhi e Islamabad a trattare per un immediato cessate il fuoco. Si sono, così, avviati negoziati diretti tra le parti.

Il cardinale Oswald Gracias, arcivescovo emerito di Mumbai, ha dichiarato nei giorni scorsi all’agenzia Fides che “è giunta l’ora della pace. È ora di porre fine ad antichi rancori. Auspichiamo un accordo completo e definitivo che sarebbe importante non solo per India e Pakistan ma per la pace nel mondo”. Il mondo, infatti, non può permettersi un nuovo conflitto.

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