giovedì, 18 settembre 2025
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La “gabbia” per i migranti di Taiwan

Lo sviluppo del Paese presenta molte ambiguità. La denuncia di padre Tajonera

Schiacciata tra Cina e Usa, la Repubblica di Cina, comunemente nota come Taiwan, è uno stato sovrano il cui territorio è composto da un gruppo di isole al largo delle coste cinesi, tra cui la principale è quella di Taiwan.

Indipendente dal 1949 (versione appoggiata dai Paesi occidentali) o tassello da rimettere al suo posto nell’impero del Dragone (come ribadito dal presidente cinese Xi Jimping), è un Paese di immigrazione che sta vivendo un grande sviluppo economico. Circa 400 anni fa ci furono i primi flussi di persone provenienti dalla Cina.

Fondamentale, a livello economico, per il suo ruolo di leader nella produzione di semiconduttori, componenti essenziali per l’elettronica, occupa una posizione geografica strategica nell’Asia orientale. Un sesto dell’Italia per dimensioni, con quasi 27 milioni di abitanti, ha tassi di densità demografica tra i più alti del mondo nelle sue città, dove marcato è il divario tra ricco e povero.

A Taiwan, migliaia di lavoratrici e lavoratori migranti nei servizi domestici, nel lavoro in fabbrica e nei campi che vivono sotto la tutela di uno “sponsor”, che dispone dei loro documenti e delle loro vite, privandoli di ogni diritto. Arrivati per cercare fortuna o con l’illusione di un lavoro dignitoso, si trovano, spesso, dentro un incubo. Passaporto, permesso di soggiorno, alloggio, libertà di movimento: tutto è legato al datore di lavoro. Ne derivano abusi costanti e sistematici: turni infiniti, fame, negazione delle cure mediche, violenze sessuali. Le “fughe” diventano l’unico modo per liberarsi, ma chi scappa viene criminalizzato e marginalizzato.

Qui gli intermediari delle agenzie di lavoro prendono una percentuale sullo stipendio dei loro clienti e hanno una notevole influenza sulle loro condizioni e prospettive di lavoro, rendendo i loro rapporti inclini ad abusi. Facendo forza sulla crisi economica e la guerra dei dazi la forza lavoro clandestina di Taiwan è negli ultimi mesi in rapido aumento.

Padre Joyalito “Joy” Tajonera, 66 anni, originario di Maryknoll (Filippine), è, da anni, in prima linea per dare assistenza ai migranti alla periferia di Taichung, seconda città più popolosa dell’isola. Lo abbiamo raggiunto via Skype nel suo centro di accoglienza per migranti, denominato Ugnayan Center, per conoscere meglio quest’angolo dell’Estremo Oriente.

A Taiwan c’è stato un forte bisogno di manodopera, soprattutto per l’industria high tech, nell’ultimo decennio. Parallelamente è cresciuto il fenomeno degli invisibili, migranti che fuggono dai luoghi di lavoro oppressivi per vivere in periferia senza alcuna tutela sociale. Padre Joy, com’è la situazione?

La maggior parte dei lavoratori migranti irregolari a Taiwan, quelli che hanno deciso di scappare dal lavoro contrattuale, sono in molti casi badanti, altri pescatori e alcuni lavorano nell’industria manifatturiera, inclusa quella dell’elettronica. Una delle ragioni più comuni sono le condizioni di lavoro inaccettabili e difficili. Altri hanno dichiarato di subire bullismo e molestie, ma nessuno ascolta le loro lamentele.

Lei ha criticato, qualche settimana fa, in un’intervista ad Al Jazeera, il Governo di Taipei per aver adottato un approccio restrittivo nei confronti della questione migratoria. Quali le ragioni di fondo?

Il Parlamento di Taiwan e l’Ufficio immigrazione nazionale hanno aumentato la pena per i migranti irregolari da 10.000 a 50.000 dollari taiwanesi (al cambio attuale un dollaro taiwanese vale 0,028 euro, ndr). L’aumento della pena non è necessariamente un deterrente per coloro che si trovano in condizioni lavorative difficili, anche se la stessa è fuori dalla portata di molti migranti irregolari.

Per comprendere meglio le ragioni per cui i lavoratori migranti scelgono di fuggire e lavorare illegalmente, l’agenzia taiwanese Control Yuan ha condotto un’indagine e pubblicato un rapporto nel 2023 che individua 10 problematiche chiave. Il rapporto ha evidenziato che le fughe sono spesso conseguenza di salari bassi, condizioni di lavoro difficili e canali di accesso inefficaci, tutti fattori derivanti dalla carenza di manodopera e da lacune normative. Tra le principali cause dei casi di fuga c’è l’esorbitante sistema di commissioni di intermediazione, che colpisce, in particolare, i lavoratori vietnamiti del settore manifatturiero. Questi lavoratori pagano commissioni che vanno dai 4.500 agli oltre 7.000 dollari, superando di gran lunga i limiti di legge stabiliti dal Governo vietnamita. Molti prendono in prestito denaro per coprire queste spese, rendendo il rimborso del debito la loro priorità assoluta. Quando i loro guadagni effettivi sono inferiori alle aspettative, lavorare clandestinamente per cercare lavori illegali più remunerativi diventa un’opzione attraente.

Nell’isola il visto per lavoro, dal 1992, si ottiene tramite agenzie di intermediazione, che rendono i lavoratori migranti incatenati a vita a chi gli ha fatto il contratto di lavoro. Potrebbe spiegare il perché di questo corto circuito legale?

La legislazione vigente limita, infatti, la possibilità per i lavoratori stranieri di cambiare datore di lavoro a metà contratto, e i lavoratori stranieri che lasciano il loro impiego contrattuale sono particolarmente a rischio di tratta, perché perdono il loro status di immigrati e l’accesso all’occupazione formale. Gli intermediari influenzano quasi ogni aspetto della vita di un lavoratore migrante: dal luogo in cui vive, ai pasti, ai termini dei contratti di lavoro e persino alle modalità di accesso ai servizi pubblici.

Vi è, poi, la questione della tratta delle donne e dei minori. Dalle campagne alle città cinesi e dalla Cina a Taiwan per arrivare alle periferie delle città taiwanesi.

Attualmente, nel rifugio, stiamo ospitando due donne thailandesi vittime di tratta di esseri umani, che hanno finito per lavorare come prostitute. Il caso è sotto inchiesta. Un’altra è keniota. È arrivata a Taiwan con un visto artistico come artista circense ed è finita a lavorare in una fattoria. I trafficanti di Taiwan utilizzano sempre più Internet, applicazioni per smartphone, live streaming e altre tecnologie online per condurre attività di reclutamento, spesso prendendo di mira vittime minorenni, a fini sessuali o matrimoni fraudolenti.

Non le sembra un paradosso? Nonostante Taiwan sia considerata una delle rare democrazie liberali della regione, i lavoratori migranti che provengono per lo più dal Sudest asiatico vivono sotto la costante minaccia di espulsione e senza accesso ai servizi sociali...

Purtroppo, i migranti irregolari perdono l’accesso ai servizi sociali e rischiano di entrare nella clandestinità. Questo contrasto tra lavoro e sfruttamento evidenzia una tensione tra i principi democratici e le politiche attuali in materia di immigrazione e lavoro, creando una situazione di precarietà per i lavoratori provenienti dal Sudest asiatico.

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