Nemmeno l’Aiea, l’Agenzia per l’energia atomica dell’Onu, può affermare che l’Iran già disponga di testate...
L’Iran non si cambia con le bombe


Sono due gli errori da non fare, quando si pensa all’Iran. Il primo è ridurre la sua storia e la sua cultura all’attuale ordinamento politico, che conosciamo come Repubblica islamica. Il secondo, equiparare l’Iran a realtà come l’Afghanistan o la Siria di oggi. Un errore che diventa una paura per chi vive nel Paese mediorientale: “Quello che alcuni studenti iraniani che studiano a Venezia temono è che il loro Paese diventi una nuova Siria, un Paese frammentato, demolito nelle sue strutture istituzionali e civili, nel quale le potenze straniere possono fare ciò che vogliono”.
Stefano Pellò è professore ordinario all’università Ca’ Foscari di Venezia, dove insegna letteratura persiana ed è un esperto della storia intellettuale dell’Iran. “L’Iran - ci tiene a precisare il docente - non va identificato con la Repubblica Islamica, che tra l’altro sta affrontando due crisi, tra loro strettamente collegate: una interna al proprio sistema di potere e una con la società iraniana, sempre più attraversata da profondissime istanze di trasformazione e di cambiamento”.
L’avvento della Repubblica Islamica, dopo la rivoluzione del 1979, è del resto “l’esito di un percorso di trasformazione politica dopo anni di lotta di popolo, alla quale hanno preso parte, tra gli altri, nazionalisti-liberali e marxisti, oltre naturalmente a religiosi di diversi orientamenti. Al termine di questo percorso, per varie ragioni, ha prevalso una certa visione di Islam politico che ha dato origine all’attuale Repubblica”.
Una Repubblica con vari elementi di democrazia rappresentativa sanciti dalla Costituzione, ma fortemente limitata dal potere religioso. “La forma di governo è estremamente complessa, fondata su valori, ideologie, filosofie politiche che vedono in primo piano gli esponenti del clero sciita, quelli che, semplificando, vengono definiti «ayatollah». In realtà questo termine indica un elevato titolo onorifico e gerarchico riservato a pochissimi studiosi di teologia e diritto”.
In Iran il “rahbar”, cioè la “guida suprema”, è un religioso del clero sciita che esercita un pesante potere di controllo e di veto sull’attività politica e sull’azione di governo. “Per il resto, quella dell’Iran è una Repubblica dotata di un Parlamento eletto dal popolo (anche se con forti restrizioni sulle candidature) e di un Governo non necessariamente guidato da religiosi: l’attuale primo ministro, per esempio, è un cardiochirurgo - spiega Pellò -. Si svolgono periodicamente elezioni e il dibattito politico è molto acceso, come lo sono le critiche alla Repubblica islamica: la società civile iraniana è, infatti, sviluppata almeno tanto quanto quella italiana o di qualsiasi altro Paese europeo”.
Lo dimostra il regista Jafar Panahi, vincitore dell’ultimo Festival di Cannes, più volte incarcerato nel suo Paese. Mai reticente nel criticare la Repubblica islamica, Panahi, nei giorni scorsi, ha espresso forti critiche al bombardamento di Israele e degli Usa. “È il segnale di ciò che vedo manifestarsi anche tra gli studenti iraniani a Venezia - racconta Pellò -. Anche i più decisi avversari della Repubblica islamica, in questi giorni, stanno provando un forte sentimento di unità nazionale. Desiderano un cambiamento radicale, ma non vogliono che ciò avvenga per mano di potenze straniere neocoloniali, che dimostrano di non avere la minima considerazione dei diritti umani e delle leggi internazionali, di cui paradossalmente tentano di accreditarsi come paladini. Con la possibilità, tra l’altro, che la guerra rafforzi le componenti più radicali, non certo quelle che auspicano un riavvicinamento alla compagine occidentale”.
Compagine che, gli iraniani lo sanno bene, è attrice protagonista in negativo nelle vicende storiche che hanno coinvolto l’Iran dalla seconda metà del Novecento a oggi, “ovvero dal colpo di Stato del 1953, ordito da Gran Bretagna e Stati Uniti per scongiurare la nazionalizzazione delle risorse petrolifere fino alla guerra con l’Iraq e alle pesanti sanzioni economiche, che certo non hanno contribuito a uno sviluppo adeguato del Paese”.