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Sentenza della Corte dell’Aja contro Israele: evitare “atti di genocidio”

Il tribunale delle Nazioni Unite ha deciso - con 16 voti favorevoli e uno contrario - di non archiviare il caso, e ha ordinato sei cosiddette misure provvisorie, per proteggere i palestinesi a Gaza. Il monito a Israele, senza ordinare un cessate il fuoco

I segni della storia che scrivono la storia. E’ la sintesi di quello che è accaduto nei giorni scorsi. Il giorno delle commemorazioni delle vittime dell’Olocausto, anticipato per la festa ebraica dello shabbat, diventa giorno di monito per Israele di non passare da “vittima” a moderno “carnefice”. La Corte internazionale di giustizia dell’Aja ha ordinato a Israele di agire subito per evitare “atti di genocidio” contro i palestinesi e di tutelare la popolazione civile a Gaza, rinunciando tuttavia a disporre un cessate il fuoco tra Stato ebraico e Hamas.

Data storica. Nell’attesissima decisione presa venerdì 26 gennaio dal gruppo di 17 giudici (tra cui anche un israeliano), il tribunale delle Nazioni unite ha deciso - con 16 voti favorevoli e uno contrario - di non archiviare il caso, e ha ordinato sei cosiddette misure provvisorie, per proteggere i palestinesi nell’enclave costiera. Tra queste, ha sancito che lo Stato di Israele presenti alla Corte un rapporto su tutte le misure adottate per dare attuazione alla presente ordinanza entro un mese dalla data della presente ordinanza.

Cosa dice la sentenza? “La Corte è perfettamente consapevole dell’entità della tragedia umana che si sta consumando nella regione ed è profondamente preoccupata per la continua perdita di vite umane e per la sofferenza umana”, ha dichiarato Joan E. Donoghue, presidente della Corte.

Nello specifico, la massima assise nel campo del diritto internazionale ha ritenuto che i palestinesi siano protetti ai sensi della Convenzione sul genocidio approvata nel 1948 e ratificata da 153 Paesi, tra cui Israele. Ciò non equivale a dire, tuttavia, che l’operazione militare dello Stato ebraico equivalga tecnicamente e legalmente a un genocidio. E’ bene, però, ricordare che il trattato in questione definisce il crimine di genocidio con “gli atti perpetrati con l’intenzione di distruggere, in modo totale o parziale, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

La decisione di venerdì ha, peraltro, solamente natura provvisoria, dal momento che una sentenza vera e propria richiederà verosimilmente anni di studio e udienze.

Le richieste dell’accusa. A sollecitare un intervento “con estrema urgenza” del Tribunale internazionale erano state, a fine dicembre, le autorità sudafricane. In cima alla lista di Pretoria c’è la richiesta che Israele “sospenda immediatamente le operazioni militari a Gaza e contro Gaza”, misura che la Corte ha rifiutato di ordinare. Il Sudafrica ha, inoltre, chiesto che Israele adotti “misure ragionevoli” per prevenire il genocidio e consentire l’accesso agli aiuti umanitari.

Effetto domino. La decisione della più alta Corte della Nazioni unite ha carattere vincolante e non può essere impugnata o sottoposta a ricorso. Tuttavia, la Corte non ha il potere di farla rispettare o di imporla con la forza, come potrebbe fare un normale tribunale nei confronti di un individuo, ma starà ai Paesi della comunità internazionale farla valere, anche attraverso l’uso di sanzioni contro Israele.

Nel caso Israele non si attenga alla sentenza, uno degli stati membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu potrà sollevarne il caso. In base a tale procedura, spetterà, poi, al Palazzo di vetro votare e decidere se intervenire. Il timore, in questo caso, è che gli Stati Uniti utilizzino il diritto di veto presso il Consiglio per bloccare azioni contro Israele. Uno strumento che gli Usa hanno ripetutamente utilizzato in passato. Sarebbe, però, la prima volta in assoluto che Washington utilizza il proprio diritto di veto contro una decisione precedentemente presa dalla Corte internazionale di Giustizia.

Se, al contrario, il Consiglio di Sicurezza dovesse decidere di intervenire per imporre l’applicazione concreta delle misure decise, potrebbero scattare sanzioni economiche e commerciali, ma anche un eventuale embargo alla vendita di armi fino a un’azione militare.

Reazioni. Commentando a caldo la decisione della corte, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito le accuse di genocidio come “oltraggiose” e ha promesso di proseguire la guerra. “Continueremo a fare ciò che è necessario per difendere il nostro Paese e il nostro popolo”, le parole del Capo del governo israeliano.

L’impressione è che questa sentenza sia solo il primo round. Fra un mese, Israele dovrà consegnare un report, e a quel punto bisognerà attendere il nuovo giudizio della Corte internazionale di giustizia. Per evitare una via “senza uscita” per Washington gli alleati occidentali di Tel Aviv stanno aumentando le pressioni su Israele affinché adotti un cessate il fuoco.

Tra propaganda di guerra e mezze verità. Diversi Paesi, nel frattempo, hanno sospeso i finanziamenti all’Unrwa (vedi scheda a fianco), a fronte della notizia del coinvolgimento di alcuni dipendenti nell’attacco di Hamas del 7 ottobre. Sul piano politico tale notizia è in linea con il discredito che da settimane il Governo Netanyahu sta gettando sulle Nazioni unite, arrivato al blocco dell’accesso dei suoi funzionari anche in Cisgiordania. Conferma ne è il divieto imposto ai funzionari delle varie agenzie e strutture Onu di rilasciare interviste sulla situazione palestinese per timore di ritorsioni diplomatiche. La sospensione dei finanziamenti all’Unrwa, di fatto, determina la presa di posizione netta a favore di Israele, ancor prima che siano verificate le accuse mosse da parte israelo-americana.

Sul piano umanitario, la riduzione dei finanziamenti e la delegittimazione delle Nazioni unite “invia” nel girone infernale più oscuro gli abitanti di Gaza, senza diritti e senza aiuti umanitari. L’accusa sposta l’asse mediatico dalla crisi umanitaria e dalle conseguenze disastrose della popolazione palestinese a quello della demolizione della struttura, vista come “im-perfetta” del sistema Nazioni unite.

In un comunicato congiunto, 20 ong operanti a Gaza esprimono forte preoccupazione per quanto va delinearsi sul fronte umanitario, perché allo stato attuale la fornitura di assistenza umanitaria fornita dall’Unrwa agli oltre due milioni di abitanti di Gaza non può essere sostituita da altre agenzie. I Paesi che sospendono i fondi rischiano di privare ulteriormente i palestinesi della regione di cibo, acqua, assistenza e forniture mediche essenziali, istruzione e protezione.

DIZIONARIO

La Corte internazionale di Giustizia dell’Aia, principale organo giurisdizionale delle Nazioni Unite, è stato istituito nel 1945. Tra le sue funzioni dirimere le controversie fra Stati membri delle Nazioni unite che hanno accettato la sua giurisdizione riguardo l’applicazione del diritto internazionale.

Unrwa è l’agenzia Onu che dal 1949 si occupa di tutelare e provvedere agli aiuti umanitari per i rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza.

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