sabato, 31 maggio 2025
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Speranze e incognite per la Siria

L’esperta Marta Furlan analizza il tentativo del Governo di Ahmad al-Sharaa di mostrare un Islam aperto alle minoranze

Dopo quasi 14 anni di guerra civile – con 13 milioni di persone costrette a lasciare le proprie case – e dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, la Siria fatica a ritrovare una stabilità interna e una condizione economica che possa alleviare le difficoltà quotidiane di una popolazione stremata. La mano tesa dell’Europa alla nuova Siria di Ahmad al-Sharaa, detto al-Jolani, col recente stanziamento di aiuti per 5,8 miliardi di euro, e la revoca americana delle sanzioni contro Damasco, a seguito del recente incontro, a Riad, di Donald Trump con il nuovo presidente siriano, possono rappresentare boccate d’ossigeno, in una terra dove si muove ancora di fame e la sicurezza rimane fragile.

Sette mesi dopo la caduta del presidente-padrone Bashar al-Assad la Siria non ha ancora pace. Rese dei conti tra le varie fazioni, difficoltà economiche, incursioni israeliane: appunti di una quotidianità furi dai riflettori dei media internazionali. Il Paese rimane ancora sospeso a un bivio tra passato e presente, tra divisioni e speranze. I recenti attacchi nelle regioni di Latakia, Tartus, Homs e Hama hanno provocato oltre 1.500 vittime civili, comprese donne e bambini, dice l’Osservatorio nazionale per i diritti umani.

Secondo i dati dell’Unhcr, più di 16 milioni di siriani (all’incirca tre quinti della popolazione residente) hanno ancora bisogno di aiuti urgenti. Inoltre, la sicurezza rimane fragile in molte parti del Paese. Ciò che accomuna tutti i siriani è la crisi economica che si aggrava di giorno in giorno e il nuovo Governo. Mentre i salari sono bassissimi, c’è chi guadagna solo 25 dollari al mese, gli aiuti hanno ripreso ad arrivare per ricostruire un tessuto sociale ed economico interrotto durante la guerra. La classe media non esiste più, i giovani, ma anche molte famiglie con figli piccoli, cercano ogni occasione per lasciare il Paese.

Ora al governo è Ahmad al Sharaa, che ha smesso di utilizzare il nome di battaglia Abu Mohammed al Jolani che utilizzava come capo del gruppo islamista Hts (acronimo di Hay’at Tahrir al-Sham). Sta guidando la transizione non senza difficoltà, cercando di accreditarsi nel consenso sia interno che estero. Nei mesi scorsi ha firmato una costituzione temporanea che sarà in vigore per un periodo transitorio di cinque anni.

Per capire meglio l’evoluzione dei nuovi governanti, abbiamo raggiunto a Washington Marta Furlan, ricercatrice milanese all’ong “Free the slaves”, e studiosa della governance dei gruppi salafiti-jihadisti in Siria, Yemen e Iraq.

Ci potrebbe illustrare brevemente la storia del movimento Hts oggi alla guida della Siria?

Le origini di Hayat Tahrir al-Sham (Hts) risiedono nel gruppo noto come Stato Islamico dell’Iraq (ISI). Nel 2012, il leader dell’ISI Abu Bakr al-Baghdadi creò Jabhat al-Nusra (Jan) come cellula da inviare in Siria per entrare nell’insurrezione locale e conquistare territori. Una volta in Siria, Jan emerse rapidamente come uno dei gruppi più importanti. Minacciato dal crescente potere di Jan, al-Baghdadi tentò di frenare il gruppo e scoppiò una disputa tra lui e il leader di Jan, Abu Muhammad al-Jolani (sostenuto dal leader di al-Qaeda Aymann al-Zawahiri). Nel febbraio 2014, al-Qaeda rinnegò l’Isi. Negli anni successivi, il gruppo di al-Jolani subì una serie di battute d’arresto militari, e nel 2017 si ritirò nel governatorato di Idlib e in alcune parti della zona rurale di Aleppo. Nel gennaio 2017, insieme ad altri gruppi, formò HTS. In seguito creò il Syrian salvation government (Ssg) per amministrare i territori sotto il suo controllo. In questi anni ha mantenuto il controllo di Idlib, gestendolo come uno Stato de facto nello Stato, fino alla conquista di Damasco, alla fine dell’anno scorso.

Questi cambi di alleanze hanno portato anche a un mutamento di pensiero?

Ideologicamente, al suo esordio, Hts era un’organizzazione tradizionale salafita-jihadista (espressione di minoranza all’interno dell’Islam sunnita, che considera la violenza uno strumento necessario per cambiare l’attuale ordine mondiale, ndr) vicina ad al-Qaeda, e mirava a costruire un emirato islamico che un giorno sarebbe diventato parte di un califfato globale guidato da al-Qaeda. Tuttavia, negli ultimi anni, Hts ha in qualche modo adattato la sua ideologia verso maggior pragmatismo, senza nutrire ambizioni internazionali oltre i confini della Siria. La fulminea presa del potere da parte di Al-Jolani e del suo movimento sembra segnare la vittoria del “jihadismo politico” su quello “integralista”.

Secondo Lei è da considerarsi come un punto di svolta nella storia dell’islamismo globale?

Certamente, la presa di potere da parte di al-Jolani è un evento di grandissima importanza - per la Siria, ma non solo. Come uno dei casi più pragmatici di jihadismo politico fino ad oggi, il gruppo ha adottato un’attenzione calcolata sulla politica quotidiana, piuttosto che sulla purezza teologica. Questo approccio solleva importanti questioni sul futuro del jihadismo-salafismo, e porta inevitabilmente a chiedersi se il modello di Hts potrebbe ispirare una tendenza più ampia verso una governance localizzata e guidata politicamente all’interno di altri gruppi simili. A questo proposito, tuttavia, bisogna ricordare che l’universo jihadista continua a essere dominato da elementi (ideologi e gruppi) che sono impegnati in obiettivi transnazionali, e difficilmente possono essere immaginati come prossimi emulatori del “modello Hts”.

L’Hts non è il primo gruppo jihadista a partecipare a un processo politico. Dopo tanti anni di lotta armata, la sua vittoria e l’appoggio diplomatico ricevuto possono rappresentare una spinta a resistere per tutti i gruppi jihadisti del mondo e che prendere il potere è possibile, anche dopo dieci o quindici anni di attesa?

Il successo di Hts dopo 14 anni di guerra contro il regime di Bashar al-Assad e contro altre formazioni dell’opposizione sicuramente ha l’effetto di risollevare gli spiriti di gruppi simili che da anni, se non addirittura decenni, perseguono obiettivi simili. Come detto prima, questo non si applica a tutti i gruppi del panorama jihaidsta, ma a quelli che hanno maggior propensione all’azione politica. Interessante in questo caso è ricordare che quando i Talebani hanno preso il potere a Kabul, c’è stato un simile entusiasmo da molte parti del mondo jihadista. Ora, un gruppo come al-Shabaab, in Somalia, potrebbe effettivamente guardare alla traiettoria di Hts come a una fonte d’ispirazione.

La vittoria dell’Hts potrebbe non solo incoraggiare la normalizzazione dei movimenti jihadisti, ma anche rendere la Siria una terra promessa per le persone attratte dal salafismo e dal jihadismo, soprattutto in Europa?

A questo riguardo, dubito fortemente che la Siria, con Hts, diventi meta ambita dai jihaidsti del mondo. Proprio perché, come già ricordato in precedenza, Hts ha aperto una via sui generis nel panorama jihadista, meno radicale e più accomodante. È difficile immaginare che il suo progetto politico per la Siria possa suscitare gli entusiasmi che di solito accompagnano i flussi di devoti jihadisti.

Quali sono le ragioni?

Il progetto di Hts resta un progetto prettamente siriano, che ha poco da offrire a chi si riconosce in una linea jihadista transnazionale (solitamente, la linea ideologica dei jihadisti “itineranti”). Se pensiamo allo Stato islamico nel 2014-2019, il numero senza precedenti di simpatizzanti jihadisti che da tutto il mondo avevano confluito verso il Califfato era legato all’ideale che il gruppo si dichiarava di perseguire - uno stato rigorosamente islamico, improntato sul modello socio-politico del Profeta Mohammad, che dalla Siria all’Iraq si sarebbe espanso nel mondo. Con Hts, la narrativa e le azioni sono più pragmatiche e localizzate e, quindi, più difficilmente attraenti per un’audience jihadista globale. Piuttosto, sarà interessante vedere se la nuova realtà che il governo a guida Hts introdurrà in Siria saprà riattrarre in patria i rifugiati siriani che hanno lasciato il loro paese durante gli anni di conflitto civile.

L’Hts rimane una coalizione di gruppi islamisti con all’interno elementi molto radicali che vogliono islamizzare la società siriana. Come si potrà coniugare rispetto dei diritti umani, libertà di culto anche per i cristiani, restituzione delle terre confiscate, investimenti stranieri?

Innanzitutto è da notare che nel corso degli ultimi anni, al-Jolani ha avuto molta cura nell’allontanare o marginalizzare elementi più estremisti facenti parte dell’organizzazione, mossa che ha suscitato le accese critiche di molti membri di spicco dell’universo jihadista. Negli ultimi anni, inoltre, Jolani ha mosso importanti passi per ricalibrare il suo gruppo come realtà non estremista. Ad esempio, in un’intervista rilasciata nel 2021, interrogato sulla situazione dei cristiani a Idlib controllata da Hts, ha risposto che il tipo di sharia che Hts vuole applicare è quello che afferma che “le minoranze religiose dovrebbero essere protette, e questo è stato messo in pratica qui a Idlib”. Nell’autunno 2022 Hts ha anche consentito la riapertura di una chiesa cristiana (armeno apostolica) nella campagna di Idlib. Significativamente, la decisione di Hts di consentire la riapertura della chiesa ha causato l’indignazione di molti affiliati di al-Qaeda, che hanno accusato il gruppo di aver reso Idlib “meno musulmana” nella speranza di ottenere l’approvazione internazionale. Sebbene i passi compiuti di recente da Hts siano certamente incoraggianti, solo con il tempo sarà possibile valutare se essi corrispondono a un vero e significativo cambiamento nell’approccio di Hts alle minoranze religiose o se sono solo una campagna pubblicitaria rivolta a un pubblico internazionale, compreso il riutilizzo del suo nome anagrafico (Ahmad al Sharaa).

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