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L’arcivescovo Shevchuk confida sul ruolo di Leone XIV per la pace in Ucraina

Né una tregua né “una resa incondizionata all’aggressore”

Né una tregua né “una resa incondizionata all’aggressore”. “Nel discorso al corpo diplomatico, Leone XIV ha chiarito che serve una pace positiva”. A “elencare” i presupposti per una pace giusta e duratura è S.B. Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, in un’intervista ad Avvenire e Sir, pubblicata lo scorso 18 maggio, proprio nei giorni in cui i “Grandi” del pianeta provano a intavolare una seria trattativa. “Quando Leone XIV si è affacciato dalla Loggia delle benedizioni dopo la sua elezione, ha esordito con la frase «La pace sia con voi», dando voce a un desiderio che ha l’intera Ucraina. Poi, ha parlato di pace in ogni suo intervento successivo. Tutti noi ci siamo chiesti quale pace intendesse Leone. Ormai il vocabolo «pace» ha perso il suo significato reale. Se guardo al nostro Paese, una parte del consesso internazionale fa coincidere il termine «pace» con la resa incondizionata all’aggressore”.

Il Papa, invece, “ha specificato che la pace non è tregua dove basta una scintilla per far riesplodere tutto, come pensa l’Ucraina in caso di congelamento del conflitto. La pace, che è dono di Dio, va collegata con la giustizia. Ed è ciò che il nostro Paese ha gridato dall’inizio dell’invasione su vasta scala. E la pace non può essere disgiunta dalla verità. Altrimenti diventa una pace tradita o menzognera. Il male va chiamato per nome e nessuno può costringerci a un accordo immediato con il nemico. Infine, la pace chiama la dignità”. “Fin dalla sua elezione, il presidente Trump ha intimato all’Ucraina di essere realista, di accettare quanto accade sul campo, di cedere una parte delle sue terre - ha detto Shevchuk -, non solo la Crimea, ma anche le quattro regioni di Lugansk, Donetsk, Zaporizhzhia e Kherson che, benché non del tutto conquistate, la Russia considera già annesse. Ma né Trump né molti altri si sono mai chiesti: e le persone? Che ne sarà degli ucraini di quelle regioni?”. E alla domanda se ripone fiducia nei tentativi negoziali avviati in questi giorni, Shevchuk risponde: “Mi affido alle parole di papa Leone: è l’ora della diplomazia. L’unica alternativa allo scontro armato è il dialogo”.

“Il Papa ha voluto ascoltare come viviamo. Era interessato ai nostri dolori - racconta Shevchuk -. Gli ho detto che siamo una Chiesa che vive in mezzo alle sofferenze del proprio popolo, che fascia le ferite. Mettiamo in atto quella che ormai chiamiamo la «pastorale del lutto». Perché non c’è nessuna famiglia oggi, in Ucraina, che non piange la morte del proprio figlio, marito, fratello o vive l’ansia di non sapere dove sta. Il Papa ascoltava. Gli ho spiegato che ovunque io vada, le persone mi affidano liste di familiari dispersi o prigionieri. Nomi concreti, con i volti, con i dati. Abbiamo consegnato al Papa quasi 500 nomi. La gente dice che se i russi sanno che i nomi di questi prigionieri sono nelle mani del Vaticano, allora li possono vedere e trattare in maniera differente. Lui li ha scorsi, soffermandosi sui nomi e guardando i volti che li accompagnavano. Poi, mi ha detto: faremo tutto il possibile per favorire spazi del dialogo e fermare la guerra”.

Denuncia, ancora, Shevchuk: “Registriamo un calo spaventoso di aiuti umanitari. E ci preoccupa la decisione degli Stati Uniti di chiudere l’agenzia UsAid, che gestiva il 41% degli aiuti nel mondo: anche la nostra Caritas ne ha risentito. Fino a oggi non siamo alla tragedia umanitaria. Però siamo al limite delle nostre possibilità”.

Infine, un’altra sottolineatura: “Ogni volta che sono in agenda iniziative diplomatiche - racconta l’arcivescovo maggiore dei greco-cattolici ucraini - i bombardamenti si intensificano. La Russia si accanisce, quasi a voler accrescere la sua posizione al tavolo negoziale. La crisi umanitaria si fa sempre più preoccupante. Mi domando: quanto, resisteremo?”.

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