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Camposampiero: i missionari legati a Mano Amica raccontano il coronavirus nel mondo

Mano Amica, associazione di volontariato di Camposampiero a sostegno dei Paesi in via di sviluppo, ha chiesto ai missionari (molti originari di Paesi in diocesi di Treviso) con cui collabora come si sta vivendo nelle loro zone questo periodo di emergenza sanitaria da coronavirus. 

11/04/2020

Mano Amica, associazione di volontariato di Camposampiero a sostegno dei Paesi in via di sviluppo, ha chiesto ai missionari (molti originari di Paesi in diocesi di Treviso) con cui collabora come si sta vivendo nelle loro zone questo periodo di emergenza sanitaria da coronavirus. Al momento in cui è stata svolta l’indagine, un paio di settimane fa, i missionari interpellati segnalavano che nei rispettivi Paesi i casi di contagio erano ancora pochi, e che le autorità avevano comunque adottato misure di protezioni simili a quelle adottate in Italia. La preoccupazione di autorità e popolazione civile è tuttavia molto elevata, soprattutto per tre motivi: la cronica inadeguatezza delle strutture sanitarie, la scarsa propensione della popolazione a seguire norme igieniche di prevenzione, e il sovrapporsi di questa epidemia ad altre endemiche malattie infettive. A questo si aggiunge il fatto che, in alcuni contesti, il contagio ha nel frattempo iniziato a diffondersi.

Questi motivi di preoccupazione sono evidenziati in tutte le risposte ricevute, di cui si riportano di seguito alcuni passaggi.

Mons. Damiano Guzzetti, missionario comboniano, vescovo di Moroto in Uganda: “Certo che il coronavirus preoccupa molto qui in Uganda, perché in tutto il paese ci sono sì e no 15 letti per terapia intensiva. Se si propagasse, sarebbe un vero disastro anche perché la popolazione capisce fino a un certo punto gli ordinamenti da rispettare”.

Suor Tiziana Maule, suora dorotea, direttrice dell’ospedale di Alépé in Costa d’Avorio: “C’è panico, c’è paura, c’è tanta preoccupazione anche economica, perché chi non lavora non mangia, non si cura e allo stato presente si moltiplicano i saccheggi, furti, ecc. Questo problema domina su tutti gli altri problemi di salute o ambientali. Non ci sono i mezzi per proteggerci, quindi tutti siamo esposti al contagio”.

Suor Giulia Mazzon, suora Francescana missionaria del Sacro Cuore, di Abbazia Pisani, a Maigarò, in Repubblica Centrafricana: “Si parla molto di misure igieniche, invito a lavarsi le mani, a non salutarsi, a non abbracciarsi; ma qui siamo in Africa e la cultura delle relazioni non è cosi facile da cambiare, ma soprattutto questa è gente che vive alla giornata e quindi giorno per giorno acquista le poche cose al mercato che sono sufficienti per quel giorno, e diciamo che nella nostra situazione, siamo nella stagione secca, non c’è molta disponibilità”.

Padre Franco Martellozzo, missionario gesuita di Camposampiero, da più di 50 anni in Ciad: “Sento intorno a me molta gente disobbedire affermando: «Ma no!, Dio è là e non permetterà che il flagello ci raggiunga! Dio è al di sopra di questa malattia e di tutto quanto ordina il Governo!». Per questo non mi sento molto tranquillo. Spero solo che il calore secco del nostro clima sia una barriera efficace. Di fatto le strutture sanitarie non sono assolutamente all’altezza di un simile flagello”.

Padre Gastone Pozzobon, frate minore conventuale, di Camposampiero, da più di 25 anni missionario a Nova Bandeirantes in Brasile, nello Stato del Mato Grosso: “Il coronavirus non è ancora arrivato qui da me... l’unica epidemia che crea paura tra i miei parrocchiani è il tifo, prodotto dalle acque inquinate e non purificate. Molti bambini sono morti di tifo”.

Mons. Rino Perin, missionario comboniano, originario di Piombino Dese, vescovo della diocesi di M’Baïki, Repubblica Centroafricana: “È una emergenza che si aggiungerebbe alle altre, che sono molteplici e quotidiane. Io penso che il paradosso è che la gente qui, che è già il risultato di una selezione per mancanza di tutto, abituata a lottare e a difendersi dalla malaria che fa strage di bambini sotto i cinque anni, è in generale, in queste condizioni, più munita di anticorpi, anche per il trattamento antimalarico, e quindi, speriamo, meno esposta”.

Suor Aloisia Dal Bo, delle suore del Santo Volto, missionaria da quasi 30 anni in Indonesia: “Per noi dell’isola di Flores, questo è un momento particolare e che fa paura! Ci sono casi in osservazione, alcuni già dichiarati positivi. Gli ospedali sono pieni di pazienti con la dengue (malaria del sangue) che quest’anno è stata superiore agli anni precedenti con decine di morti, soprattutto bambini”.

Padre Tiziano Bragagnolo, frate minore conventuale di Rustega, missionario da oltre 60 anni in Zambia: “La popolazione è bene informata del pericolo e il Governo ha preso misure molto restrittive, ma la gente purtroppo sottovaluta il pericolo, dovrebbe essere più preoccupata e più seria di fronte a questa epidemia. Da anni lo Zambia soffre di molti casi di Hiv, ma per questo male, a differenza del coronavirus, ci sono medicine efficaci”.

Dalle testimonianze ricevute traspare una seria preoccupazione per gli effetti catastrofici che questa epidemia di coronavirus potrebbe avere soprattutto nei Paesi più sottosviluppati. In tal senso c’è, tuttavia, da sperare che possa trovare validazione scientifica l’ipotesi avanzata qualche giorno fa dal prof. Galli (direttore Malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano), e cioè “che la porta di ingresso del virus sia diversa e non accogliente” in determinati gruppi umani. Se fosse così “il disastro colpirebbe di meno le aree più fragili del mondo”. 

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