Penso che molti, come me, siano rimasti inizialmente un po’ sorpresi dalla elezione al pontificato del...
Mulini Mandelli: recupero nel rispetto del verde
Nuova proprietà e nuove idee per il complesso trevigiano in riva al fiume Sile, da decenni abbandonato. Al contrario dei vecchi piani che prevedevano l'edificazione sull'area agricola dietro alle strutture principali e, dunque, altre colate di cemento lungo la Restera, la nuova progettualità piace agli ambientalisti

Potrebbe essere arrivato il momento della riqualificazione anche per lo storico complesso dei mulini Mandelli, che da oltre trent’anni versa in uno stato di totale abbandono. Ancora l’iter sarà lungo e complesso, di fatto non è stato presentato alcun progetto, ma almeno l’edificio di archeologia industriale, che sia affaccia sull’Alzaia del Sile, dal febbraio scorso ha un nuovo proprietario. Si tratta dell’imprenditore trevigiano Pierangelo Bressan, proprietario del colosso delle calzature sportive Garmont di Vedelago.
La partita non comprende la sola riqualificazione degli edifici lungo la Restera, ma anche un enorme terreno edificabile a essi collegato, per cui negli anni ha stuzzicato diversi appetiti, ma nessuno dei progetti finora presentati è andato in porto. Abbandonato dagli anni ’90, nel 2005 l’intero complesso era stato acquisito dall’immobiliarista Federico Bano che, tuttavia, non è riuscito a portare a compimento i suoi progetti di recupero ed edificazione residenziale, a causa della crisi economica innescata nel 2008. Tra il 2010 e il 2011 viene proposta la variante al piano ambientale dell’ente parco Sile, approvata da Regione, Provincia e Comune, che presentava un progetto di edificazione per l’area. La proposta prevedeva, oltre alla riqualificazione, la realizzazione di quattro condomini nell’area verde alle spalle dei mulini, una cementificazione selvaggia, in un’area protetta da vincoli ambientali, che fece sollevare diversi comitati in difesa dell’ambiente, associazioni e cittadini, che proposero anche una raccolta firme.
Anche questo progetto, comunque, nonostante le modifiche approvate al piano regolatore comunale, rimase fermo al palo.
Ora, con l’acquisizione da parte di Bressan, si riaccendono i riflettori sull’area.
Come già detto non c’è ancora un disegno concreto sull’area, ma tante idee, che l’imprenditore ha espresso in una recente intervista rilasciata alla Tribuna di Treviso.
Si immagina, dunque, una riqualificazione conservativa, che non stravolga le architetture esistenti e, inoltre, un impatto dolce sull’ambiente e sull’area verde circostante, con la realizzazione di un “parco abitato”, che mantenga in equilibrio gli spazi naturali con quelli edificati.
Una sorta di “bosco verticale”, come quello realizzato, solo qualche chilometro più indietro, sempre su via Alzaia, dall’architetto Stefano Boeri.
Un’operazione simile, di integrazione tra cemento e verde, ma non uguale, almeno nelle intenzioni, visto che l’operazione sui mulini Mandelli vorrebbe rivolgersi a un target diverso, più popolare, con abitazioni “accessibili a tutti, sia in termini fisici che economici”.
L’idea è stata accolta in maniera positiva dall’Amministrazione comunale, che si è detta disponibile a sostenere e agevolare burocraticamente, per quanto possibile, la realizzazione del progetto, ma favorevole è stata anche la reazione delle opposizioni e del mondo ambientalista: “E’ di oltre 10 anni fa la battaglia contro il progetto di «recupero» degli ex-mulini Mandelli che prevedeva la cementificazione di un terreno agricolo a pochi metri dal Sile - ha dichiarato Gigi Calesso di Coalizione Civica -. Le prime dichiarazioni della nuova proprietà del complesso vanno in senso completamente opposto alla logica di consumo di suolo del progetto approvato nel 2010, perché escludono la realizzazione di edifici nell’area verde su cui si affacciano gli ex-mulini.
Sarebbe veramente importante che si concretizzasse una progettazione sostenibile di questo tipo, in grado di offrire una prospettiva di nuova vita per il complesso lungo il Sile abbandonato da decenni e, contemporaneamente, di evitare nuove colate di cemento e asfalto nell’unica area rimasta verde lungo quella riva del fiume nel territorio cittadino.
Si tratterebbe di un’operazione di recupero edilizio e salvaguardia ambientale degna di queste definizioni.
Ma sarebbe anche la chiara dimostrazione che, per essere economicamente sostenibili, le operazioni di recupero non dipendono dall’aumento delle cubature e dalla cementificazione di aree verdi”.