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La “pesante” eredità del dopo Zaia

Il Veneto all’ammaina-Zaia, ma non soltanto. Il prossimo voto regionale non si limita a registrare la fine di un vero e proprio “Zaiastan”, durato tre lustri (a scongiurare il reiterato tentativo dell’ormai ex governatore di approdare al fatidico ventennio): segna, soprattutto, una svolta radicale nel governo di una regione che amava definirsi “la locomotiva d’Italia”, e che rischia di degradare a vetusta littorina.
È un passaggio a cui si applica a pieno titolo una celebre frase di papa Francesco: siamo non a un’epoca di cambiamento, ma a un cambiamento d’epoca. Chiunque si trovi a governare questa nuova fase, dovrà farlo con una fatica di gran lunga superiore a quella del lungo e incontrastato regno leghista. È una sorta di incendio su vasta scala, quello cui occorrerà far fronte: molto sta andando a fuoco, in un Veneto squassato da una devastante e tumultuosa transizione, che in vent’anni gli ha cambiato pelle più che in venti secoli, mettendo in gioco un’identità consolidata per generazioni e rimasta pressoché immutata fino alla metà del Novecento.
Il gelo demografico
Oltre che il Veneto, stanno cambiando drasticamente anche i veneti, con una demografia rivoluzionata e rivoluzionaria. Se fino a pochi decenni fa questa era tra le Regioni con il più alto numero di nascite e con famiglie numerose, oggi è agli ultimi posti nella presenza dei figli, con un tasso inferiore a quello fisiologico di ricambio, due per coppia. Contemporaneamente, è divenuta una terra dai capelli grigi: l’aumento della vita media sta già trasformando la quota degli over 65 nella maggioranza della popolazione, con una crescente presenza di ultracentenari.
A queste dinamiche interne se ne associa una esterna dal fortissimo impatto: se fino alla metà del secolo scorso il Veneto era area di emigrazione tra le più elevate d’Italia, oggi si è riconvertito in porto di approdo di decine di migliaia di immigrati provenienti, di fatto, dall’intero pianeta, con circa 170 etnie diverse che convivono tra loro. La tumultuosa trasformazione demografica è destinata a dettare le linee dell’intero spettro dei pubblici interventi, non solo della prossima legislatura, ma pure di quelle successive. Una terra con sempre più vecchi e sempre meno giovani richiederà necessariamente l’adozione di politiche efficaci e innovative: che non possono fermarsi alla sola componente anziana, ma che devono estendersi alla natalità, al mondo del lavoro, all’immigrazione; senza il cui apporto fin d’ora il sistema veneto rischia di sprofondare in una crisi devastante. Si nasce sempre di meno, si vive sempre più a lungo; le scuole si svuotano, le aziende faticano a trovare personale, si riempiono le residenze per anziani che, tuttavia, non riescono a soddisfare la domanda; attualmente, le liste d’attesa per entrarvi viaggiano sulle diecimila unità. Se nel 2001 gli over 65 erano poco meno di 830 mila, nel 2050 saranno esattamente il doppio. Visto nel suo insieme, il quadro demografico presenta tutte le caratteristiche di una tempesta perfetta, con ricadute a tutto campo: dai bambini agli anziani, dalla scuola al lavoro, dalla salute al welfare.
Crisi di competitività
In un simile contesto, diventa fondamentale mettere mano a un investimento strategico in capitale umano: al di là delle dichiarazioni di facciata sui presunti primati veneti, la realtà denuncia una vistosa perdita di terreno del Veneto a livello europeo, secondo l’indicatore del Pil pro capite: nel 2010 la Regione era al 48° posto della graduatoria, dieci anni dopo era già scesa al 75°.
La crisi è confermata dall’Indice di competitività delle 235 regioni europee, che accorpa una valutazione su parametri strategici quali i servizi sanitari, le infrastrutture, le istituzioni: oggi il Veneto si trova alla posizione numero 134, preceduto non solo dalle realtà tradizionalmente più avanzate, ma anche da altre quali i Paesi Baschi, la Loira, il Tirolo, l’area di Varsavia. La fondazione Nordest ha tradotto in valori assoluti la perdita di peso del Veneto, negli ultimi vent’anni, prendendo a unità di misura sempre il Pil pro capite.
Nel 2000, in Veneto, equivaleva a 33.634 euro di oggi, nel 2019 la cifra era cresciuta solo del 4,6 per cento arrivando a 35.164; attualmente è arrivato a 37.238 euro, quindi con un incremento sempre modesto. Per fare un paragone con una realtà spesso citata a riferimento, i Länder tedeschi nei primi vent’anni del terzo millennio hanno viaggiato tutti a doppia cifra, sfiorando, spesso, il 30 per cento.
I “nodi politici”
È, dunque, uno scenario complesso e impegnativo, quello cui dovrà far fronte il prossimo governo della Regione. Con un nodo interno non da poco: se i quindici anni di Zaia sono stati contrassegnati da una sorta di monarchia assoluta leghista, con i partner della coalizione destinati a far da comparse, il quadro che uscirà dal voto di novembre risulterà molto più variegato e non privo di contrasti. Il trend, ormai da tre anni, a questa parte segnala una netta prevalenza numerica di Fratelli d’Italia; e anche se la Lega riuscirà a mantenere la presidenza, dovrà fare i conti con un alleato rampante che chiederà (e otterrà) adeguate compensazioni; e con un compagno di viaggio, quale Forza Italia, tutt’altro che rassegnato a far da Cenerentola.
A questo si aggiunge la sostanziale marginalità del Veneto a livello nazionale: da sempre, le reiterate rivendicazioni (a partire da quella sull’autonomia...) non sono riuscite a incassare la benché minima concessione; e Roma rimane più che mai distante, malgrado la presenza di governi omogenei, al centro come in periferia. Col risultato di relegare il Veneto, e i veneti, a ruoli in tutto e per tutto goldoniani: da sior Todero brontolon alle baruffe chiozzotte.