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Non smettete di cercare la luce

Ingegnera biomedica, fisica, artista e scrittrice, Parnian Kasae è nata nel 1977 a Teheran dove ha trascorso l’infanzia e la giovinezza, in un Paese attraversato da tensioni politiche e sociali. “Seta, figlia dell’Iran” è il suo primo libro
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Come un moderno Sisifo, solo con la consapevolezza che gli ha restituito Camus. La leggenda narra che gli dei, esasperati dalla furbizia del re di Corinto, lo condannassero a una pena eterna: spingere un enorme masso su per una montagna, solo per vederlo rotolare giù ogni volta che raggiungeva la cima.

Metafora, in altre parole, dell’assurdità dell’esistenza, soprattutto nella filosofia moderna, finché, appunto, Albert Camus, nel suo saggio “Il mito di Sisifo”, lo interpreta come l’emblema dell’uomo che, pur consapevole dell’inutilità della sua fatica, continua a lottare e a trovare significato nel gesto stesso.

Parnian Kasae si descrive proprio così, “capace di cercare le opportunità nascoste in ogni ostacolo”. Ingegnera biomedica, fisica, artista e scrittrice, è nata nel 1977 a Teheran, dove ha trascorso l’infanzia e la giovinezza; cresciuta in un Paese attraversato da tensioni politiche e sociali, ha visto segnare la sua dalla Rivoluzione islamica, dalla guerra e dalla perdita del padre, intellettuale di grande prestigio, figura centrale nella sua formazione spirituale e intellettuale.

Oggi, dopo un master in Simulazione a Trieste e un dottorato di ricerca in Fisica a Siena, vive a San Donà di Piave, in provincia di Venezia, dove si dedica alla sua passione per l’arte e la letteratura.

Ha scritto, e recentemente pubblicato, il suo primo romanzo biografico “Seta, figlia dell’Iran”, con prefazione del collega scrittore e giornalista, Gian Domenico Mazzocato.

Del gallo e della tarturaga

“La mia vita è la tessitura di un mosaico, frammentata in mille pezzi ed esperienze diverse, in perpetuo esilio -racconta -. Appartengo alla «generazione bruciata» di coloro che sono nati durante la rivoluzione, sono cresciuti sotto le bombe, senza prospettive di lavoro e di futuro. Mi sono laureata e ho cercato una occupazione, ma, poi, ho dovuto lasciare il mio Paese, come tante e tanti dei miei coetanei”.

Lì, dove tutto è già stato scelto per loro, dove si impara a fare finta e a tenere distinto chi sei e chi fingi di essere per il terrore della polizia morale, Parnian Kasae cresce grazie anche a una famiglia solida e a un padre che è docente universitario e che le insegna i valori dell’onestà, della correttezza, dell’impegno che crea nuove opportunità. Un uomo di fine intelligenza che apre la sua casa a poeti, artisti, filosofi, pensatori e che abitua i figli alla profondità. Fin da piccola porta con sé un taccuino, dove annota quello che legge di altri e che la colpisce, per arricchire di opportunità il suo pensiero.

“Sono scappata dall’Iran, un paese con «cervelli in fuga” per approdare in l’Italia, nel 2002, Paese dove i cervelli sono in fuga” sorride amara.

A Trieste, in realtà, arriva per caso: è lì che le offrono una borsa di studio e non si può rinunciare a questa opportunità di andare via, nonostante gli affetti, la famiglia, il nipote da voler vedere crescere. Ma dopo anni di studi e ricerca non riesce a trovare un lavoro stabile, troppi baroni, troppa precarietà di vita.

Decide di trasferirsi in Malesia, paese di forte emigrazione di iraniani, dove per qualche anno fa l’imprenditrice, con buoni risultati, ma troppe vessazioni. Suo marito vive e lavora in Italia, sono sposati da 10 anni e, dunque, torna per restare “definitivamente”. “Come in un mosaico, il pezzo singolo è solo un dettaglio, ma nell’insieme acquisisce il senso della sua narrazione”.

A lei rimane fisso nella mente quello di Aquileia che ripropone un gallo e una tartaruga; diverse sono le interpretazioni: per alcuni rappresenta la luce che sconfigge le tenebre; per altri il dialogo tra culture diverse, Oriente e Occidente.

“Questa è la mia vita, la continua ricerca di una sintesi nelle fratture”.

Il dolore della diaspora
Quando torna in Italia è il 2015. Cerca lavoro, ma con scarsi risultati. “Continuavo a sentire la necessità di trovare un modo per esprimermi e, come in una dolorosa metamorfosi, ho dato spazio sempre di più alla mia passione per l’arte. Io, una scienziata...”. Segue corsi di mosaico, frequenta le grandi scuole di Venezia, Ravenna, Spilimbergo. Decide di aprire un atelier, ma problemi di salute importanti la costringono di nuovo a fermarsi. Così inizia a scrivere come unica via di fuga e a lavorare con la ceramica e la scultura. È in questa nuova forma di arte che trova finalmente la sua possibilità di espressione, l’occasione per trovare sintesi nella complessità di una vita divisa e frammentata appunto.

In altre parole, trova la sua firma, forte di una personalità in continua evoluzione, ma solida nelle sue radici, alimentata da una grande ricerca culturale e forte delle sue passioni. Dove Oriente e Occidente cercano di trovare modi diversi di avvicinarsi.

“Integrarsi in contesti nuovi ha molto a che vedere con il carattere - spiega - e per questo è assolutamente soggettivo. C’è la questione linguistica che rimane il tema fondamentale per potersi integrare, poi c’è il mondo delle relazioni e della socialità, la crisi della propria identità per il distacco dalle radici, le discriminazioni, lo spaesamento culturale. In questo nuovo esilio, Parnian Kasae trova anche altre forme di appartenenza. “Oggi - racconta - vivo una solitudine ricercata, di cui mi nutro, perché non mi spaventa più, non è abbandono”.

Del resto, lei fa sua una resilienza fine e determinata: come non si arrende alla violenza simbolica del regime, nemmeno si piega alla solitudine dell’esilio. Al contrario, trasforma ogni frammento di dolore in arte, ogni perdita in possibilità.

“Ho un dolore e non voglio sprecarlo. Questo dolore per me è sacro”, confessa.

Dentro ogni crepa
entra la luce

Oggi la sua voce attraversa confini, regimi, lingue e cicatrici, grazie anche a questo lavoro: “Seta, figlia dell’Iran”. In un mondo che spesso riduce l’esilio a una statistica, Parnian Kasae restituisce alla migrazione il suo volto umano, fragile e feroce.

Il romanzo ripercorre gli eventi storici collegati alla sua infanzia con una scrittura intensa e lirica, dove il dolore non è mai fine a se stesso, ma diventa materia viva per la trasformazione.

“Ho scritto in lingua italiana, vivendo una stimolante frustrazione - racconta e sorride ancora -. È stata una sfida ardua, ma anche una grande soddisfazione perché la scrittura per me è diventata cura che sana”.

La sua doppia anima - scientifica e creativa - permea il suo stile. La precisione del pensiero si fonde con la fluidità della narrazione, creando un linguaggio che è al tempo stesso analitico e poetico.

Le sue pagine sono dense di riferimenti culturali, da Italo Calvino a Oriana Fallaci, da Umberto Eco a Franco Battiato, testimoni di una mente curiosa e cosmopolita.

In un’epoca in cui le donne iraniane lottano per la libertà, la testimonianza di Parnian Kasae è più che mai urgente. Il suo romanzo è un atto di resistenza, un invito a non smettere di cercare la luce anche quando tutto sembra buio.

È la voce di chi ha attraversato il dolore e ne ha fatto bellezza.

Con “Seta, figlia dell’Iran”, Parnian Kasae ci ricorda che la scrittura può essere salvezza, che ogni storia ha il diritto di essere ascoltata, e che anche le vite cucite tra le crepe possono diventare tessuti preziosi.

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