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Domenica XXVIII del Tempo ordinario: Un incontro che rigenera

Gridando a Gesù, come il lebbroso, riconosciamo il nostro bisogno di essere purificati

Un altro incontro di Gesù «lungo il cammino verso Gerusalemme», al confine tra Galilea e Samaria. Al confine tra mondi e genti in conflitto, pur riconoscendosi nella comune esperienza originaria di liberazione dall’Egitto. Un incontro che capovolge la prospettiva validata dai maestri ebraici, secondo la quale il popolo d’Israele, e non i Samaritani, ha raggiunto la salvezza, la vera liberazione promessa da Dio.

Un incontro che supera un confine

L’incontro è ancora su un confine, al limite del territorio di un villaggio, ed è provocato da dieci esclusi che quel confine non possono attraversare perché lebbrosi, considerati immondi e quindi indegni di relazione con Dio e con gli altri. Sono loro ad andare incontro a Gesù, ad interromperne il cammino. Avrebbero dovuto gridare l’avvertimento che allontanava, preservando gli altri dalla contaminazione: “Impuro! Impuro!” (Lv 17,45). Invece invocano una vicinanza: chiedono che si prenda cura di loro colui del quale riconoscono il potere (il termine usato intende “uno che ha autorità e quindi può”). Gli chiedono, in fondo, di compiere la missione che il suo nome afferma: “Gesù, Dio-salva, prenditi cura di noi!” Gesù risponde, con uno sguardo che è già un impegno di cura, e rimandandoli a presentarsi a coloro che erano deputati

a riconoscere la guarigione dalla lebbra

e a riammettere nella comunità (Lv 17), implicitamente acconsente alla loro richiesta.

Un cammino che si inverte, a generare nuovo incontro

Ciò che accade, poi, si focalizza su “uno di loro”, che rivolge su di sé lo sguardo e prende consapevolezza non solo del suo essere guarito, ma anche del cambiamento più profondo al quale tale guarigione dona accesso: un rapporto nuovo con Dio, dal sentirsi punito al sentirsi amato, da un sentirsi escluso a un sentirsi pienamente in comunione. E “inverte il cammino” per tornare a incontrare Gesù: inversione del passo che richiama conversione, “inversione del cammino” del cuore e della vita intera. Lo fa “glorificando Dio a gran voce”, cioè riconoscendo con meraviglia davanti a tutti che quanto gli è accaduto è opera della misericordia di Dio. E riconosce in Gesù l’origine di tale misericordia: gli si prostra ai piedi per ringraziarlo.

Qui, a sorpresa, emerge un tratto della sua identità, cancellata dalla lebbra: “Era un samaritano»”. Uno su dieci ha riconosciuto fino in fondo l’opportunità che quella “purificazione” aveva aperto a tutti: una salvezza che rigenerava fin dal profondo rapporti rinnovati con Dio e con gli altri, grazie all’incontro con Gesù. Una salvezza che rigenerava nuova umanità. E Gesù, riconoscendo a sua volta in lui l’opera della sua fede, lo rimette in via, gli dona ripartenza, nei passi della vita. Per la comunità cui l’evangelista si rivolgeva, composta da cristiani provenienti non dall’ebraismo ma “dalle genti”, questa vicenda rappresentava la chiamata a una responsabilità di annuncio e di testimonianza aperta a tutti gli “stranieri”, gli “altri” che sembravano esclusi dalla salvezza promessa.

Lasciarci incontrare, lasciarci rigenerare

Noi, oggi. Sempre più bisognosi di una rigenerazione delle relazioni, con noi stessi, con gli altri, in un tempo in cui le grida più alte non sono di appello alla cura quanto alla violenza e alla guerra. Riscoprire la possibilità, invece, di gridare a Gesù riconoscendolo Dio-salva, riconoscendo il nostro bisogno di essere purificati dalla lebbra che sfigura la nostra umanità. Riconoscendo che lui interviene, e ci offre la possibilità che la guarigione penetri dalla pelle fino in fondo al cuore. Riconoscendo che, se ci lasciamo coinvolgere in un incontro con lui, Dio ci risana da ciò che rovina la nostra umanità e distorce e impedisce le nostre relazioni vitali, con noi stessi con gli altri con il mondo con lui; paure, egoismi, discriminazioni, odio, violenza. In un mondo in cui continuano a crescere le esclusioni, a livello di relazioni prossime, di parentela, di vicinato, e a livello di Nazioni, di popoli interi, ritroviamo lo sguardo che riconosce vicinanze, comuni bisogni, scambi di bene che guariscono. Ritroviamo, come l’altro samaritano che incontra il mezzo morto sulla sua strada, quella com-passione che ci morde le viscere (Lc 10,33). E il ri-generato sostegno di una comunità può davvero segnare un cammino di conversione, dall’impotenza stanca e rassegnata al generare insieme gesti di vicinanza, di reciproca cura. Il prendere consapevolezza dell’azione di Dio in mezzo a noi, azione, misericordiosa e rigenerante, ci apra alla gioia, a una sorpresa di gratitudine. E ci renda sempre più capaci di ri-partire, di essere piccolo segno per altri, esclusi, di-sperati, abbattuti, svuotati di vita.

Come hanno deciso di fare i cristiani rimasti a Gaza: piccoli segni della speranza che non delude, perché ogni giorno si lasciano incontrare, fin nella tragedia di croci immani, dal Dio-che-salva, il Dio della vita di Pasqua.

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