La situazione dei palestinesi nella striscia di Gaza (ma anche in Cisgiordania), è sempre più drammatica...
XXIII Domenica del Tempo ordinario: Seguire Gesù: una scelta impossibile?

Nel brano di questa domenica il centro del discorso è la possibilità di seguire Gesù e le condizioni necessarie per farlo.
“Odiare”, una provocazione. Tali condizioni sono poste in modo molto esigente fin dall’inizio: utilizzando il termine “odiare” (traduzione letterale al posto di «amare di meno»), l’evangelista provoca i suoi ascoltatori a interrogarsi in profondità su quanto sta loro chiedendo. “Odiare” crea, infatti, una reazione di rifiuto che, per chi voglia comunque prender sul serio la parola di Gesù, induce a chiedersi il senso di una simile richiesta. Provocandoci a livello emotivo profondo ci spinge a comprendere che cosa sia davvero messo in questione se decidiamo di seguire Gesù.
Il distacco da relazioni e affetti essenziali per l’esistenza quotidiana, e perfino dall’aver cura della propria stessa vita appare in contraddizione non solo con ciò che sentiamo visceralmente necessario; lo è anche con il comandamento, riproposto dallo stesso Gesù, di amare gli altri come se stessi.
Ciò che è necessario: portare la croce dietro a lui. Ciò che ci sconvolge è che niente di quanto abbiamo ed è indispensabile per sostenerci nella vita basta per seguire Gesù che va verso la sua morte. Anzi, le due brevi parabole aggravano ancora il giudizio: se pensiamo che sia questo a renderci possibile seguirlo, rischiamo di esporci al ridicolo e al fallimento, o ancor peggio, alla tragedia che porta con sé una disfatta militare: saccheggio e strage.
Ciò che è necessario: “portare la propria croce dietro a lui”. Tutto ciò che è “croce”, ciò che conduce a fallimento di morte, ci libera dall’illusione di poter da noi soli salvarci la vita e dalla pretesa che le nostre risorse siano sufficienti a seguire Gesù. Tutta la nostra fragilità e debolezza non va né ignorata né sfuggita: è parte integrante della nostra esistenza. Se credo di lasciar fuori questa dimensione, che minaccia di rovina ogni mio vivere, rischio che la croce non venga trasformata dalla sua Pasqua. Portarla con me mi ricorderà il mio limite ineliminabile di sofferenza e morte, ma mi metterà anche in grado di portarla con colui che non mi salva dalla croce, ma che mi fa partecipare alla sua stessa esperienza, l’esperienza di chi fin dentro ogni croce e ogni morte ha attraversato “fessura di Pasqua”, aperta con lui dal Padre per la forza dello Spirito Santo. Con colui che ha sperimentato possibilità incredibile e inattesa di vita piena, e la condivide con noi.
Seguirlo fino a Pasqua. Le conseguenze del “portare la croce”, per la vita personale ed ecclesiale, sono continuamente da scoprire. Si traducono in attenzione per le sofferenze e le ingiustizie dell’umanità, vicina e lontana, e in ogni tempo e in ogni luogo prendono nomi, volti, segnati da tragedie e orrori. Scegliere di sentirsene partecipi, superando l’indifferenza che uccide gli altri e uccide in noi l’umanità, è un modo molto concreto di “portare la croce”. Scegliere di condividere con altri anche le nostre croci - fallimenti e sconfitte, paure e disperazioni - diventa un altro modo concreto per non chiudersi in se stessi e nell’illusione di farcela da soli, o nella frustrazione più depressiva e desolante.
Si tratta di portare dietro a lui / con lui quanto ci ferisce a morte, chiedendo con lui, con la sua stessa voce, di essere liberati da quanto schiaccia la nostra e l’altrui vita. E scoprire che dalla profondità di ogni croce una volta ancora si alza il Crocifisso Risorto.
Allora sì, ritroveremo tutte le nostre relazioni preziose e vitali, trasformate dalla relazione fondamentale con lui. Le gusteremo con ancor maggiore intensità, perché avremo scoperto nella profondità di noi stessi che la risposta al desiderio infinito di vita che ci abita si trova nel seguire lui fino alla Pasqua. Allora, ritrova forza ed efficacia la “speranza che non delude”, e ogni relazione di bene, ogni dono dal mondo, ogni esistenza troveranno guarigione e pienezza e intensità di condivisione in una cura reciproca che il Padre stesso continua a sostenere e ricreare con tutti coloro che accolgono il suo dono di vita.