Il Governo Netanyahu
In questo, il Governo di Benjamin Netanyahu, tenuto sotto scacco dalla destra estrema,...
 Nel brano di questa domenica vengono narrati due episodi, da ascoltare insieme. Riguardano gli avversari (in questo caso gli scribi) e i discepoli.
Un comportamento ipocrita
Nel primo, si rimprovera chi si proponeva come autentico interprete della Torah – delle indicazioni su come vivere secondo la volontà di Dio. Costoro, infatti, dimostrano con la loro condotta ciò che vogliono davvero: essere riconosciuti come autorità e averne i privilegi. Lo fanno in maniera vanitosa e ipocrita, e le loro preghiere sono smentite dal loro comportamento, visto che approfittano dei beni delle vedove, soggetti che la Torah impone di tutelare. Incarnano una situazione di “anti-discepoli”: a chi lo segue, infatti, Gesù chiede di farsi non primo, ma ultimo e servo, come ha scelto di fare lui.
Un comportamento “irragionevole”
Il secondo episodio mette in rilievo un comportamento che può apparire irragionevole: una «vedova povera» la quale «getta» nel «tesoro» del Tempio «tutto quanto aveva per vivere», letteralmente «tutta la sua vita» – che vale praticamente nulla, la somma è pari ad un’infima parte del salario di una giornata. Non è detto chiaramente se questo gesto sia da imitare oppure no, se abbia senso privarsi di quanto serve a vivere per «gettarlo» in un «tesoro» amministrato in maniera discutibile. È tuttavia messo evidentemente in contrasto con quello dei «molti ricchi» che «continuano a gettare» nel «tesoro» «molte monete»: se costoro in termini assoluti fanno una elemosina abbondante, in termini relativi a ciò che possiedono, fanno dono solo di una parte del proprio superfluo. Lei, invece, offre «la sua vita intera». Azione insensata, riguardo alla quale facciamo “sensata resistenza”: che senso ha che una vedova, la cui categoria è appena stata dichiarata a rischio di sfruttamento da parte delle autorità religiose del tempo (v. 40), getti il niente che gli è rimasto in un «tesoro» che aumenta il potere di chi, invece di difenderla come la Torah richiede, la opprime con illecite richieste?
Ed è inevitabile ritornare all’incontro con il ricco che non accetta la proposta di Gesù, anch’esso un “non-discepolo”, mentre il fatto che Gesù chiami a sé i suoi e dia solennità alla sua dichiarazione (v. 43) indica l’autorità di un insegnamento importante. I termini usati ci portano a ricordare quanto affermato due capitoli prima: il Figlio dell’Uomo è venuto per dare l’intera propria vita come tesoro capace di riscattare dalla morte le moltitudini (Mc 10,45). È anch’essa azione da considerare insensata, come quella della vedova, è dono senza risparmio, come quello della vedova. Il gesto di lei è un modo semplice e radicale per dire il suo amore per Dio, con tutto quello che ha per vivere, e compie così a suo modo il «primo comandamento di ogni cosa» (Mc 11,28-30). E chi segue Gesù, dovrà ricordare che «chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8,45).
Una doppia provocazione
Il rilievo dato da Gesù a quel gesto ci provoca, così, in due direzioni. La prima, a livello strutturale delle nostre comunità, e della società civile: è necessario che collettivamente si provveda affinché non si creino condizioni in cui chi è più fragile e bisognoso è ridotto ancor più in povertà perché è costretto in tale situazione dall’abuso di potere di coloro che devono, invece, garantirne i diritti. E in questa direzione, quanta strada da fare... La seconda provocazione coinvolge direttamente la nostra relazione con Dio: ci fidiamo di lui al punto da mettergli in mano «la vita intera»? Quel che so di me stesso è che mi è molto difficile.
D’altra parte, anche per Gesù è stato ben faticoso, fino al grido di abbandono sulla croce. Ciò che lo ha sorretto in quell’ultimo tratto di vita è stata tutta l’esperienza vissuta con un Padre di misericordia, che gli affidava tutto il suo amore e insieme gli chiedeva di donarlo pienamente, con la sua «vita intera», a noi.
Un’esperienza necessaria
Solo l’esperienza di essere amati da chi continuamente ci dona vita, amati di un “amore affidabile” che ci precede
e mai ci abbandona, può sostenerci nell’affidargli la nostra «vita intera».
Un amore che passa per le tante “piccole” esperienze dei nostri incontri quotidiani,
e che può diventare travolgente in alcuni momenti e relazioni di particolare intensità
e autenticità. Esperienze in cui l’amore per Dio è generato dall’accogliere con stupore il suo amore potranno condurci, un passo alla volta, ad affidarci sempre più completamente a lui. L’accoglienza dell’amore del Padre purificherà il nostro agire da ipocrisie
e da comportamenti oppressivi, centrati
su una inestinguibile sete di essere al centro, costi quel che costi. Diventando, invece,
in continuo confronto e cammino comunitario, costruttori di bene
per chi è più fragile ed emarginato.
E seguire Gesù, da discepoli, e affidargli
le nostre resistenze e i nostri slanci, lasciandoci trasformare il cuore dal suo Spirito, lasciandoci meravigliare dal bene che lui semina nelle nostre vite e che nutre il cammino verso la pienezza del suo Regno, la pienezza della Pasqua.