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Padre e madre, l’educazione dei figli nasce da un incontro

Nel marzo scorso Massimo Gramellini ha scritto sul Corriere, nel suo “Caffè”: “Esserci o non esserci, questo è il problema dei padri. Siamo diventati troppo apprensivi e non diamo più ai figli la possibilità e il gusto di sbagliare”. Annotazione, oggi, tutt’altro che scontata. Più avanti ha aggiunto: “Se siamo diventati molli è per reazione alla durezza dei nostri padri, che erano sì autorevoli, ma spesso anche assenti o indifferenti”. Qui sono un po’ perplesso: la motivazione di Gramellini mi è sembrata riduttiva. E se tale mollezza fosse dovuta anche alla paura? Alla paura di essere messi all’angolo emotivamente, di non essere riconosciuti affettivamente dai figli? Ha proseguito dicendo che, tra il modello duro del passato e quello assillante di oggi, non si è ancora riusciti, per i padri, a trovarne uno alternativo, valido. La conclusione: “Che alla fine sia questo il modello da perseguire? Esserci senza esserci. Lasciare che si inoltrino da soli nel buio, che cadano e si rialzino, finchè non avranno più paura di cadere. E però rimanere acquattati nelle retrovie: senza fare nulla, ma pronti ad accendere la luce”. Certo, può essere un’idea saggia, dove si tengono insieme le cose: esserci senza esserci. Forse, però, è ancora troppo assillante. Ciò che dispiace, nell’argomentazione di Gramellini, è un difetto - a mio parere - diffuso: pensare l’educazione, come mille altre cose, da soli, in modo individualistico. Un figlio, per ora, è il frutto di un incontro - si spera d’amore -, ma, comunque, di un incontro nel quale ognuno porta ciò che è e ciò che ha: essere un uomo e una donna. Perchè siamo così ingenui da pensare che, se un modello va trovato, non debba essere ripensato nell’incontro con l’esempio che sta dall’altra parte, cioè quello della madre? Se un figlio nasce da un incontro, perché la sua educazione non dovrebbe nascere da un incontro ulteriore? Perché pensarsi, come spesso accade, da soli e non in due? » troppo difficile, troppo complicato.