Indubbiamente, quello che ci appare nel racconto è un Gesù umano, compassionevole e misericordioso verso...
Genitori e figli: punto d’incontro cercasi

La chiamano “seconda generazione” ed è una tematica molto meno attuale di come sembra, persino in Italia. Si sarebbe potuto imparare da altri Paesi, come ad esempio la Francia, che sul tema dei giovani figli di immigrati si è scontrata già da tempo e ancora non ha trovato una quadra. Il dibattito in Italia si infiamma attorno alla parola “ius”: sanguinis, scholae, soli... Chi o che cosa dà il diritto a questi giovani di essere italiani anche “sulla carta”? Il “sangue” dei genitori? Il livello di istruzione? Il “suolo” di nascita? Gli anni di permanenza in Italia? Il quesito riguarda ormai moltissime persone nel nostro Paese e tocca corde sensibili anche in quanti non sono direttamente coinvolti, tanto che la proposta referendaria di Più Europa della scorsa estate ha raggiunto il quorum di 500 mila firme, con il record di 400 mila in soli 4 giorni (bisogna dirlo, uno splendido esempio di attivazione democratica della cittadinanza). È notizia recente che si andrà, dunque, a votare l’8 e 9 giugno: il referendum propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza legale in Italia necessario per richiedere la cittadinanza italiana, estendendo automaticamente questo diritto anche ai figli minorenni dei richiedenti, dunque alla cosiddetta seconda generazione.
Fatti di cronaca
A livello di cronaca il nostro territorio sembra non fare eccezione sul tema dei giovani figli di stranieri, e si ripetono anche qui copioni già visti anche altrove. Sabato 22 marzo, per esempio, piazza Vittoria, a Treviso, è stata teatro di un nuovo tafferuglio con protagonisti minorenni: il video che lo testimonia raffigura un gruppo di giovani “maranza” che insegue e picchia un altro ragazzo; le voci registrate riportano parole in italiano e arabo, tenendo accesi i riflettori sulla cittadinanza straniera (e/o aspirante italiana). Scene da film, e probabilmente ai film o ai videogiochi questi ragazzi devono essersi ispirati. L’attenzione, però, dovrebbe essere posta sul “perché” lo facciano, invece che sul “come”. Da molto tempo ci si interroga sui modelli a cui sottoponiamo i ragazzi: i testi violenti di alcuni trapper, le scene esplicite di alcuni film, la violenza gratuita di alcuni videogiochi, nonché i numerosi video cui hanno fin troppo semplice accesso tramite internet. Un po’ troppo poco, invece, ci si interroga sui perché, cioè su che cosa spinge un ragazzino a imitare certi comportamenti che – va detto, e chi lavora nel mondo dell’educazione è spesso concorde e chiaro su questo punto – loro stessi sanno bene essere sbagliati. E ancora meno si accendono i riflettori sulla maggioranza di questi ragazzi, che da questo tipo di atteggiamenti si tiene ben lontana.
Lontano dai riflettori
Infatti, lontano dai riflettori e a conti fatti, è evidente che l’elemento determinante di questa seconda generazione non è quello deviante. Ad evidenziarlo è Nicola Michieletto, direttore dell’Uoc Infanzia adolescenza famiglia e consultori familiari dell’Ulss2 in occasione della presentazione del progetto “Ti incontro” (seguito di “Ti ascolto”) che ha coinvolto 250 ragazzi di otto istituti superiori e 400 genitori. I figli sono stati il “mezzo” con il quale arrivare alle famiglie, anche quelle italiane, “per aiutarle a lavorare su rispetto, sensibilità ed empatia - spiega Michieletto -. I genitori si devono sentire autorevoli, devono saper dire di no e incoraggiare i figli all’autonomia per poterli proteggere dalle vere minacce, ad esempio le amicizie discutibili; devono tornare ad essere un punto di riferimento, e non solo una garanzia e un argine nel momento in cui le cose sono già tracimate”. E se i giovani italiani tendono a reagire con depressione e isolamento, i figli degli stranieri, al contrario, vivono una frattura interna in termini di identità, respirano un clima familiare che alimenta la volontà di rivalsa, la necessità di imporsi in maniera positiva nella società, di conquistarsi un proprio spazio. “Questa aggressività «buona», che potremmo definire determinazione, può esplodere in violenza se non hanno alle spalle una famiglia che li sostiene. Occuparci dei figli è un lavoro a metà: dobbiamo raggiungere quei genitori (anche italiani) che pensano vada tutto bene o che si sentono in colpa o giudicati” chiosa Michieletto.
Distribuire i pesi
A questi ragazzi di seconda generazione forse stiamo chiedendo un po’ troppo – o per lo meno come adulti abbiamo messo sulle loro spalle un peso più oneroso di quanto ci rendiamo effettivamente conto. Ne è convinta Gloria Tessarolo, assessora alle Politiche sociali del Comune di Treviso, coinvolto nel progetto “Ti incontro”. “I ragazzi non possono risolvere da soli questi problemi - chiarisce -, il lavoro va fatto tra famiglie, istituzioni, associazioni e anche aziende, le quali la stessa Ulss 2 ha chiamato in causa a proposito di welfare, affinché si prendano cura anche della salute familiare dei loro lavoratori, e su questo studieremo format e progettualità per orientare le imprese. Come istituzioni dobbiamo proporre modelli e progettualità che le famiglie siano davvero in grado di applicare, e lo stesso vale per la scuola. Nonostante siamo storicamente un Paese di porti e di scambi, ci siamo un po’ chiusi, manca un reale processo di integrazione: si è lavorato sui numeri e ci siamo orientati alla performance più che all’umano”.