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La scuola al centro, nell’intervista della dirigente palermitana Antonella Di Bartolo

In questi giorni la nostra provincia sta accogliendo Antonella Di Bartolo, dirigente scolastica che - con un gioco di parole - sta facendo scuola. Ospite giovedì 11 settembre alla Lovat di Villorba e venerdì 12 al festival Combinazioni, Di Bartolo ha presentato il suo libro “Domani c’è scuola” (Mondadori 2024) e raccontato la sua esperienza come dirigente scolastica da 13 anni all’istituto comprensivo Sperone-Pertini di Palermo. Una scuola che oggi è molto più di questo: è il centro nevralgico di un intero quartiere.
Siamo in un quartiere vessato dallo spaccio, nel 2013 Antonella Di Bartolo si trova davanti un edificio mal ridotto e una comunità in pezzi, “uno scenario di guerra e non un luogo di pace, quale è una scuola” raccontava in una intervista: una sfida da attraversare tutta in salita. Eppure oggi, a pochi giorni dalla 13ª “prima campanella” tra quelle mura, le classi da 4 sono diventate 40 e la dispersione scolastica è scesa dal 27% all’1,6%, e, comunque, osserva di Bartolo, non basta.
Lo sa che c’è qualcuno che parla di un “modello Di Bartolo”?
No, e devo dire che mi fa un po’ ridere. Un modello fa pensare a qualcosa di esportabile all’interno di dinamiche diverse. Certamente possiamo parlare di un modo di intendere il ruolo della scuola, e questo a prescindere dall’ubicazione: da Palermo a Treviso o Bolzano, si vede la scuola nel suo essere Stato, attraverso le scuole lo Stato è presente in tutte le strade del nostro Paese, il che per me è una cosa bellissima e meravigliosa se lo si interpreta nel senso del servizio. La scuola è un’istituzione di prossimità che può essere il volto bello, accogliente e di supporto per la comunità. Sono molto scettica quando si parla di buone pratiche, perché è difficile traslare una pratica da contesto all’altro, per cui secondo me le buone pratiche sono legate alle buone persone e a una buona disposizione d’animo.
Non a caso parla di “buone persone”, al plurale.
Come dico sempre, io rappresento una storia di una comunità, o comunque non è solo una storia personale, perché tutti diamo il contributo necessario per ottenere questi risultati. Insegnanti, collaboratori scolastici, educatrici, genitori, nonni: siamo tutti utili e indispensabili allo stesso modo.
Che cosa avete fatto nel 2013?
Non avevamo delle soluzioni, quindi, ce le siamo inventate. Il Comune ci aveva promesso che avrebbe ristrutturato l’edificio se avessimo portato 50 iscrizioni per la scuola dell’infanzia e così abbiamo fatto. Vedevamo i bambini per strada e andavamo a parlare con i genitori sotto casa, se non rispondevano alle chiamate. Io ho girato i commercianti del quartiere, c’era un collaboratore scolastico che stava alla fermata dell’autobus per intercettare i genitori. Il panettiere si è messo subito in moto e ha raccolto 20 iscrizioni in dieci giorni, il primo modulo della lista era quello del nipote, il figlio di suo figlio. E così siamo partiti.
E così, direi, state proseguendo.
La fiducia del quartiere va conquistata non a parole, ma con fatti concreti. Tra le tante palazzine e tantissimi crocevia, a Sperone è sempre mancata una piazza, un luogo di pensiero e incontro di prospettive. La scuola si è fatta piazza in un quartiere dove non ci sono piazze. Per fare un esempio, quest’anno per la seconda volta in occasione dell’8 marzo non ci siamo limitati a parlare dei diritti delle donne e delle pari opportunità: nella strada della sede principale del plesso abbiamo accolto nove camper dell’Asl, le aule sono diventate ambulatori di visita dentistica, pap test, screening ecc. Abbiamo avuto 1.300 accessi quest’anno, ovviamente gratuiti: è stato un vero e proprio servizio per il quartiere, che è stato possibile grazie all’alleanza con il Terzo settore. Oggi, invece, ho incontrato le maestre della scuola d’infanzia che hanno chiuso la prima annualità di un progetto biennale 0-6 anni che rende possibile un tempo d’estate fino al 25 luglio, e, insieme a questo, ha attivato uno sportello di supporto psicologico per genitori.
Anche i genitori hanno bisogno di aiuto?
Nell’ottica della costruzione di una comunità più forte, dobbiamo rafforzare le capacità genitoriali, soprattutto dei genitori che non riescono a chiedere esplicitamente aiuto. Le nostre sono famiglie che vivono molte difficoltà: ci sono tante storie di detenzione, molte mamme agli arresti domiciliari, ma anche mamme e papà che chiedono di rimettersi a studiare. Abbiamo accompagnato tante mamme al conseguimento della scuola media, orgogliosamente insieme ai propri figli. Ci sembra un messaggio molto bello che arriva ai bambini, riconoscono che i titoli scolastici sono un traguardo fondamentale. In generale è importante considerare i genitori come alleati, non come persone da tenere distanti con un’accoglienza formale e non sostanziale. Noi sperimentiamo ogni giorno che incontrarci con loro sul benessere dei bambini è determinante.
Intanto bambini e ragazzi sperimentano ogni giorno vecchie e nuove fragilità. Fino a dove può arrivare la scuola?
I ragazzi sono sempre stati fragili, la novità di questi anni è che abbiamo genitori che mostrano tratti adolescenziali, immaturità emotiva, affettiva e di cura nella relazione con i propri figli, che è trasversale a tutti ceti sociali. Di fronte a emergenze come nuove dipendenze, difficoltà nei rapporti interpersonali e violenza, si dice che “bisogna ripartire dalla scuola”, il che è verissimo, ma queste dichiarazioni sono in contrasto con il reale investimento. Siamo il Paese europeo con la minore percentuale spesa del Pil in istruzione e le scuole hanno subito politiche indiscriminate di tagli e accorpamenti. Bisogna cercare di capire che tipo di scuola vogliamo.