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Senza dimora: il report Fiopsd: 415 persone morte in strada nel 2023

Per strada si muore per “cause naturali”, ma anche per eventi traumatici, per il freddo, per mancanza di cura e reti di protezione. Si muore di situazioni di disagio e di indifferenza. Sono 415 le persone senza dimora decedute in strada, in Italia, nel 2023, 16 in più rispetto all’anno precedente, segno di un fenomeno in aumento e, dunque, di una povertà che sta aumentando.
A fornire i dati è l’osservatorio Fiopsd (Federazione italiana organismi per le persone senza dimora) che nel suo rapporto “La strage degli invisibili” chiarisce: “Lo scorso anno i mesi invernali hanno rappresentato la stagione più dura per chi non può contare su un alloggio adeguato. In questo periodo dell’anno, infatti, i decessi sono stati considerevolmente più frequenti, arrivando a coinvolgere oltre 130 persone. Tuttavia, sebbene l’inverno rappresenti il periodo dell’anno più drammatico, in cui anche i riflettori dei media si accendono per riportare i casi di cronaca più eclatanti, è doveroso mettere in luce che la «strage invisibile» si alimenta mese dopo mese durante tutto l’anno”.
Sono 215 i Comuni italiani in cui è stato registrato almeno un decesso.
I dati nel dettaglio
Il dettaglio regionale mostra che le regioni in cui i decessi sono stati particolarmente diffusi sono la Lombardia (21%, pari a 86 decessi), il Lazio (18%, pari a 74 decessi), dove c’è la maggior presenza di persone senza dimora, seguite dall’Emilia Romagna (10%, 42 decessi), la Campania e il Veneto (entrambe 8% con 32 decessi). Solo nella città di Treviso, sono state quattro. La presenza e la morte di persone senza dimora ha fatto discutere molto in questi mesi anche nel capoluogo della Marca. Per aiutare le persone che ogni giorno dormivano fuori al freddo, non trovando un posto nel dormitorio comunale, oltre alle attività di Caritas e Sant’Egidio (che attualmente sta ospitando alcune persone nei locali della parrocchia di San Martino) la diocesi ha deciso di ospitare dodici persone in un’ala del Seminario.
Le morti in strada interessano soprattutto uomini (93%), persone di nazionalità straniera (58%). La quota di italiani deceduti, pari al 31%, è aumenta leggermente rispetto allo scorso anno (28%). Anche questo dato, potrebbe essere spia di una povertà crescente nel Paese. L’età media dei decessi è 47 anni, ma si muore a tutte le età dai 16 agli 86 anni. Un dato, quello dell’età media dei decessi, che, se paragonato alle “normali” aspettative di vita, rende palese “tutta la drammaticità della vita in strada”.
Come accennato brevemente all’inizio, il 40% delle persone senza dimora muore per malori (ovvero malesseri fisici improvvisi e aggravamento di situazioni già compromesse), di cui la forma più estrema è rappresentata dagli episodi di ipotermia (15 casi in un anno). Il 42% di esse muore per eventi traumatici e accidentali, quali atti di aggressione, annegamenti, cadute, incendi e suicidi. Quest’ultimo dato, chiarisce il rapporto, pari a circa il 6%, è probabilmente sottostimato, in quanto potrebbe comprendere anche molte delle morti avvenute per annegamento (7%) o per investimento da parti di treni (5%). L’eccezionalità di queste circostanze è confermata dalle statistiche ufficiali sulle principali cause di morte della popolazione, che indicano che solo il 4% dei decessi nazionali totali è attribuibile a tali cause esterne traumatiche.
“Oltre 400 morti in un anno sono un dato tremendo - afferma la presidente Fiopsd, Cristina Avonto -. Il costante incremento annuale di questa triste cifra, che riguarda esseri umani, deve portare a un cambiamento politico e culturale. Oggi le risorse messe a disposizione degli ambiti territoriali, da fondi europei e nazionali, anche attraverso il coinvolgimento delle regioni, possono essere una leva per strutturare politiche e servizi sull’abitare. La casa è ciò che manca alle persone senza dimora, la base per una vita stabile e sicura dalla quale ripartire”.
Il focus: i rischi delle donne
Per quanto riguarda le donne, i ricercatori di Fiopsd fanno notare come il fenomeno rimanga sommerso, pur esponendole ad altro tipo di rischi: Il fenomeno dei senza dimora al femminile, sebbene in crescita, appare molto meno diffuso rispetto al fenomeno sperimentato dalla popolazione maschile. Anche i dati del report sembrano confermare questo assunto, già rilevato da altre ricerche nazionali e internazionali: a fronte di 389 uomini, le donne decedute sono 22. “La lettura di questo dato - spiegano i ricercatori - potrebbe essere collegata all’evidenza, dimostrata a livello internazionale, che le donne hanno meno probabilità di sperimentare le forme più estreme e visibili di «homelessness», ovvero di vivere in strada con scarso o nessun contatto con i servizi di supporto. Viceversa, vi è ormai un diffuso consenso sul fatto che le donne, una volta cadute in situazioni di precarietà abitativa, tendono a rivolgersi, in prima istanza, a sistemazioni informali, come l’accoglienza da amici e conoscenti, ricadendo nella cosiddetta condizione di «homelessness nascosta». Inoltre, vi è da considerare che, nel caso di donne con figli a carico, il sistema dei servizi italiano tende a offrire un canale privilegiato di supporto e assistenza, e dunque a limitare le circostanze in cui madri sole possano trovarsi in nelle circostanze più gravi di esclusione abitativa”.
Va sottolineato, tuttavia, che questa condizione di “homlessness nascosta” rischia di mettere le donne in una condizione di fragilità, di dipendenza abitativa, economica e di subordinazione nei confronti di chi le ospita, esponendole così a i pericoli di una precarietà invisibile che non emerge da nessuna statistica.
La riflessione di Cittadinanzattiva
“Questa narrazione - la riflessione di Giancarlo Brunello, presidente di Cittadinanzattiva Treviso - dimostra e testimonia che la povertà e la miseria sono un fatto strutturale di questa società capitalista, non più una questione endemica. Anche il futuro ha una previsione drammatica, poiché sia in Europa che in Africa le disuguaglianze sociali, molto presenti, forti e in aumento, provocano una palude di miseria e fame, che lo sviluppo economico non è in grado di contenere. Questa «povertà» indica anche che essa ha livelli diversi di bisogni e di assistenza. Vi è una pletora di persone che in qualche modo sono assistite. A loro vengono distribuiti cibo e vestiario, ma molto più carente è il ricovero. Mentre ad altri (e sono molti), ossia i nuovi poveri, questa assistenza non è data, perché non sanno dove andare, cosa fare e a chi chiedere. Cosa fare allora? Intanto constatare e prendere atto che esiste la povertà e aumentano le disuguaglianze. Tutto questo pone il problema di una progettualità specifica con risorse e progetti concreti di chi governa il Paese. Occorre istituire, subito, «una rete informale», ma decisa, capace di affrontare il problema. Si faccia da subito un censimento di chi fa cosa e come, in quest’area della sussidiarietà rispetto ai poveri. In questo modo, si cominciano a dare delle risposte. Affrontiamo da subito il problema dello spreco del cibo. Ce n’è molto ed è un vero crimine buttare via tutto questo. Altra questione è quella della sicurezza sanitaria. Già cinque Regioni hanno fatto una legge ad hoc. Affrontiamo, inoltre, il problema dell’inclusione al lavoro di chi è in grado di lavorare e realizziamo un progetto di formazione professionale scolastica, rivolta ai ragazzi, per un reinserimento a scuola, prima, e al lavoro, poi. Insomma, una forma di contrasto alla povertà educativa. Tutto questo non risolve, però, il problema della casa o del ricovero. Problema grave, ma da affrontare. Un invito quindi a non stare con le mani in tasca ma a fare qualcosa. Anche (solo) prendere atto del problema dei poveri, della fame e dell’esclusione sociale”.