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Siti sessisti, proviamo ad andare oltre lo sdegno


Le cronache di questi giorni hanno portato alla luce l’orrore dei siti sessisti in cui foto di donne inconsapevoli venivano pubblicate senza consenso, per esporle, come oggetti, ai commenti, degradanti, offensivi e, a volte, irripetibili, degli utenti. Stiamo parlando del gruppo Facebook pubblico “Mia moglie”, che, nato nel 2019, prima di essere rimosso contava circa 32 mila membri. Nonostante le numerose e ripetute segnalazione da parte di molte donne, ci è voluto l’appello su Instagram della scrittrice e sceneggiatrice Carolina Capria, per smuovere le acque e convincere Meta, la società che gestisce Facebook, a chiudere il gruppo per violazione delle “politiche sullo sfruttamento sessuale degli adulti”. E stiamo parlando, inoltre, del forum online Phica.eu. Anche qui, foto pubblicate senza consenso, anche qui i commenti più beceri, questa volta in attività addirittura da vent’anni. Il sito aveva pubblicato anche le foto di alcune donne protagoniste della politica nostrana, per cui il caso è stato sollevato anche in Parlamento; tuttavia, vittime non erano solo donne famose, ma anche donne comuni, a cui, per la rimozione delle foto, è stato chiesto di pagare una somma di denaro. Il sito era da tempo nel mirino degli inquirenti, che però non riuscivano a chiuderlo, poiché i server erano all’estero. Sono stati gli stessi gestori a mettere la parola fine, con un comunicato alquanto controverso. Ad accertare le responsabilità saranno le indagini della Polizia postale.
Per provare ad andare oltre alla cronaca e a inquadrare un fenomeno che ha lasciato i più, a dir poco, sconcertati e disgustati, abbiamo parlato con Fabio Ballan, counselor, consulente sessuale che lavora per “Cambiamento maschile”, spazio di ascolto del Centro per uomini autori di violenza, gestito dalla cooperativa “Una casa per l’uomo”, in collaborazione con il Comune di Montebelluna.
Possiamo provare a comprendere da dove nascono questi comportamenti?
Ci sono due diverse componenti, sulle quali riflettere, una è quella culturale: il sessismo. La nostra società è talmente permeata dalla cultura patriarcale che nemmeno ce ne rendiamo conto, per cui queste persone non avevano la percezione di fare qualcosa di sbagliato. Vivere secondo dei ruoli prestabiliti che il proprio genere ci ha assegnato, seguendo determinate peculiarità, è un modo per farsi accettare dal gruppo, non differire dalla norma, non sembrare “strani”, ha a che fare con l’accettazione sociale, più che con ciò che desideriamo realmente per noi stessi. Siamo immersi in questa cultura, come se fosse l’acqua nella quale i pesci nuotano, senza accorgersene, è un gioco di ruoli in cui chi dice “io non ci sto” viene emarginato. Così si crea questa violenza, e la donna diventa mero oggetto da esibire, una proprietà di cui disporre, mentre gli apprezzamenti nei suoi confronti esaltano e fanno sentire più maschi.
Ma non c’è solo questo.
No, in questi casi abbiamo anche un’altra componente, che è quella della “cyber violenza”, della violenza online. C’è l’idea che in Internet si possa fare tutto ciò che si vuole, poiché non c’è la percezione delle conseguenze delle proprie azioni. Non si vede il legame tra quello che si fa in rete e le ripercussioni nella vita reale.
Certo è che gli uomini non ne escono molto bene.
La cultura maschile necessita di fare un percorso. Quella femminile lo ha fatto, e oggi, almeno nel mondo occidentale, una donna ha la consapevolezza per poter essere se stessa e provare a ritagliarsi il percorso di vita che più le si addice. Il maschile, per molti versi, non ha ancora fatto questo passo. Nella società patriarcale gli uomini avevano dei diritti acquisiti che oggi non esistono più, ma il maschile non ha ancora avuto il coraggio di rimettersi in discussione fino in fondo, mentre permangono aspetti di una mascolinità tossica, che sono duri da eradicare. La grossa sfida è quella di creare una cultura diversa, educare all’empatia, a esprimere in maniera corretta se stessi e le proprie emozioni, senza seguire dei ruoli stereotipati, ma anche imparando ad assumerci le proprie responsabilità nei confronti degli altri con consapevolezza. Gli uomini, infine, non devono chiedere certe foto per sentirsi più virili, e le donne devono sentirsi libere di rifiutare.
Questa passo che manca, può avere a che fare con gli atteggiamenti sessisti in rete di cui stiamo parlando?
Certamente, se un uomo perde i punti di riferimento culturali con cui è cresciuto e non ne ha di nuovi, allora è chiaro che rabbia e violenza aumentano. Così si alimenta soprattutto un certo tipo di violenza, quella psicologica: ti sminuisco per riportarti al tuo posto. Internet, in questo senso, è “un’isola che non c’è”, posso essere quello che voglio, o meglio, chi devo dimostrare di essere. Da qui nascono gli Incel (persone che si autodefiniscono “celibi involontari”, incolpando le donne della loro condizione, ndr)
Un cambiamento può arrivare dalle nuove generazioni?
Alle nuove generazioni dovremmo insegnare a non reprimere il loro mondo emotivo. Che la rabbia non è l’unica emozione che un uomo può esprimere, che violenza e sopraffazione non portano rispetto. Tuttavia, quando andiamo nelle scuole, oggi, a parlare con gli studenti, notiamo che praticamente tutti indicano la gelosia come componente imprescindibile di un rapporto sentimentale. Sono consapevoli degli stereotipi derivanti dalla cultura patriarcale, non vogliono relazioni tossiche, eppure ci sguazzano. Non si rendono conto che la gelosia è già un elemento tossico, perché implica una mancanza di fiducia, e dove non c’è fiducia non c’è amore né rispetto. Quindi proviamo a farli riflettere su questa cosa, ma è un lavoro che deve partire fin dalla prima infanzia.
Da che età?
Già alla scuola materna sarebbe bene partire con un’educazione affettiva, e fare sì che i bambini prendano consapevolezza del proprio corpo e di quello degli altri, dei limiti che impone il rispetto dell’altro. Questo, affinché diventino adolescenti e, poi, adulti consapevoli. Quando i bambini diventano un po’ più grandi è importantissimo accompagnarli nel mettersi in relazione con la propria sfera emotiva, saper gestire la rabbia, ad esempio: se mi arrabbio, la colpa è mia o di chi mi fa arrabbiare? Il sentimento è mio e devo assumerne la responsabilità, non addossarla a qualcun altro. È importante, inoltre, affrontare con i ragazzi il tema della sessualità, per non lasciare che si “informino” soltanto attraverso la pornografia, che propone modelli ancora una volta irrealistici, non educativi, e pensati prettamente per un pubblico maschile. Sarebbe bello, infine, poter portare la nostra esperienza all’interno degli incontri per coppie giovani e percorsi fidanzati ed è necessario proporre un percorso sul consenso.
Voi proponete questo percorso di “Cambiamento maschile”, di cosa si tratta più in concreto?
Il progetto di “Una casa per l’uomo” all’interno del Centro per uomini autori di violenza nasce nel 2015. Quando siamo partiti la maggior parte degli accessi avveniva in maniera spontanea, mentre oggi, direi dall’introduzione del codice rosso per le violenze contro le donne, gli uomini sono inviati dal giudice o dagli avvocati. L’obbligo di partecipare al percorso ne inficia un po’ la motivazione, per cui ora ci troviamo a dover lavorare molto di più su questo aspetto. In un anno ci contattano circa 60/70 persone, ma non tutte, poi, intraprendono il percorso. In concreto gli uomini partecipano a 3/5 colloqui individuali e, successivamente, agli incontri di gruppo, che durano un anno. Abbiamo un gruppo a Treviso, uno a Montebelluna e uno a Conegliano, ognuno con dieci partecipanti.
Che si fa nei gruppi?
Si prova a rielaborare l’agito violento per una presa di consapevolezza, si tratta di un percorso psicoeducativo, in cui si interviene a livello educativo e culturale e si affronta il tema delle relazioni, eventualmente della paternità o uso di sostanze, si affinano strategie comunicative, si prova ad assumere un registro più empatico nei confronti dell’altro. Da protocollo, a condurre i gruppi ci sono due professionisti, una donna e un uomo, per proporre, anche con l’esempio, un modello di femminile e maschile il più lontano possibile dagli stereotipi.
Che tipo di uomini incontrate?
Sono diversissimi tra loro, oserei dire che abbiano in comune solo l’essere tutti maschi. Di tutte le età, dai 18 anni in su, ci era arrivata una richiesta anche da un novantenne. Laureati, analfabeti, italiani, stranieri, avvocati, medici, operai, c’è di tutto, nessuno è immune del tutto a una cultura che respiriamo fin da quando nasciamo.
Un’ultima curiosità, perché un uomo lavora in un percorso di Cambiamento maschile?
Perché credo nel cambiamento, sono convinto che sia una parte fondamentale dell’esperienza umana. Le etichette non sono veritiere, non esistono uomini cattivi, ma uomini che hanno fatto cose cattive, e su questo si può lavorare. Sogno un maschile diverso e che possa crescere una riflessione in tal senso.