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I nodi della Marca messi in luce dall’Inps Treviso

Poche nascite e popolazione che invecchia. I giovani emigrano, aumentano gli inattivi, rimane il problema del divario salariale tra uomini e donne
30/10/2025

Nel suo terzo rendiconto annuale, presentato pochi giorni fa a palazzo Giacomelli e riferito all’anno 2024, l’Inps mette in luce i punti critici principali della provincia di Treviso: un gender pay gap (ovvero il divario salariale tra uomini e donne) stabilmente alto, la crescita dell’emigrazione dei giovani in altre regioni o all’estero, l’aumento degli inattivi. Sullo sfondo il tema dell’inverno demografico, che, secondo Roberta Carone, direttrice provinciale Inps Treviso, sarebbe “il tema dei temi” di una società schiacciata tra l’evento pandemico e le incertezze geopolitiche attuali. In particolare, il presidente del Comitato provinciale Inps Treviso, Paolino Barbiero, sottolinea che occorre “prestare più attenzione alla realizzazione di scelte politiche e strutturali per favorire la crescita demografica e gestire i flussi migratori”.

Saldo demografico

L’andamento naturale della popolazione, cioè la relazione tra nuovi dati e decessi, vede un costante saldo negativo dal 2015, tanto nella Marca (-0,3%) quanto in Veneto (-0,4%) e in Italia (-0,5%). L’aspettativa di vita alla nascita è in tendenza positiva, ma con l’aumento dell’età vi è anche un progressivo aumento delle disabilità, con ricadute sulle pensioni. Il saldo migratorio, ovvero la differenza tra persone che se ne vanno e quelle che arrivano, resta positivo, ma mentre gli immigrati rispetto all’anno precedente sono in leggero calo, gli emigrati sono in leggero aumento. Gli emigrati all’estero, in particolare, erano 2.029 (413 in più rispetto all’anno precedente), 1.168 dei quali nella fascia d’età compresa tra 18 e 39 anni; nel 2003 erano soltanto 408. Gli immigrati, invece, erano 5.193 (866 in meno rispetto all’anno precedente), dato piuttosto stabile rispetto al 2003, quando erano 5.423.

Saldo occupazionale, inattività e cassa integrazione

Il saldo netto occupazionale della Marca è positivo: gli occupati sono 402 mila e il tasso di occupazione è al 69,5%, con un picco del 96,1% degli uomini tra i 35 e i 49 contro un 81% delle donne nella stessa fascia d’età (-15%). In generale cala sia il tasso di occupazione che quello di disoccupazione, mentre sono gli inattivi ad aumentare: 350 mila in totale, prevalentemente ragazzi e ragazze nella fascia 15-24, ma con un notevole 21% nella fascia delle donne tra i 25 e i 34 anni. Un dato importante da sottolineare, soprattutto in un Paese che registra un secondo posto in Europa per numero dei giovani Neet (lett. “Not in education, employment or training”, cioè persone che non studiano, non lavorano e non seguono corsi di formazione professionale), che adducono tra le diverse motivazioni di inattività le responsabilità familiari e di cura. Altre motivazioni, poi, sono l’indisponibilità per malattia o disabilità, oltre a situazioni di transizione, e una parte di “scoraggiati”. Risulta ancora una volta evidente la necessità di lavorare su disabilità e marginalità, ma non è da sottovalutare lo scoraggiamento verso il mondo del lavoro. Da un sondaggio “interno” presentato dagli studenti del Besta e del Riccati, emerge che il 40% degli intervistati è preoccupato per il proprio futuro lavorativo, 4 su 10 pensano di aprire un fondo pensione, e il 56% pensa che non riceverà la pensione. Preoccupazioni, purtroppo, minimizzate dai presenti in sala. Eppure, la situazione non proprio rosea tornano a mostrarla i dati, visto che aumentano notevolmente i beneficiari degli ammortizzatori sociali: in particolare la provincia di Treviso nel 2024 registrava in Veneto il secondo numero più alto di beneficiari di Cigo (Cassa integrazione ordinaria), Cigs (straordinaria) e Fondo di solidarietà, 24.179, per oltre 3 milioni di ore utilizzate.

Gender pay gap

I redditi medi giornalieri segnano una differenza del 30% tra maschi e femmine, in un panorama italiano in linea, mentre la media in Europa è al 12%. Alla base di questo divario, tra le altre cose, inquadramenti lavorativi diversi e meglio retribuiti per gli uomini, all’interno dello stesso ambito di mansioni e orari di lavoro ridotti per le donne. Nel pubblico, le posizioni tra le meglio retribuite sono quelle di amministrazioni centrali, magistratura e autorità indipendenti, con un reddito medio giornaliero di 160,30 euro per i maschi e 138,80 euro per le femmine (-21,50 euro), in entrambi i casi, al di sotto della media nazionale; le peggio retribuite riguardano le amministrazioni locali (regioni, province e comuni), il cui reddito medio giornaliero per gli uomini è di 101,80 euro e per le donne di 86,80 euro (-15 euro), anche in questo caso al di sotto della media italiana. Nel privato il settore meglio retribuito è quello delle attività finanziarie ed assicurative, con 205,80 euro giornalieri per gli uomini e 134,70 euro per le donne (-71,10 euro), al di sotto della media nazionale; il reddito medio giornaliero più basso lo si registra nel lavoro domestico: 64 euro per gli uomini, 39,40 per le donne (-24,60). Non solo: le lavoratrici dipendenti part time sono il 39,8%, mentre i colleghi maschi il 7,5%, e su quasi 30 mila contratti di lavoro a tempo indeterminato, stipulati nel 2023, 18 mila hanno riguardato gli uomini. La fotografia, precisa al centesimo, ci restituisce un Paese in cui le donne lavorano meno, guadagnano meno, prendono meno di pensione: tutto ciò ostacola l’autodeterminazione femminile e lascia spazio alla violenza economica.

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